• giovedì , 21 Novembre 2024

Eutanasia degli euroscettici

Parata di anti-euro al parlamento europeo. Ottimi economisti con deputati comparse. Analisi precisa con tesi troppo politiche e di parte. Vogliono uccidere la moneta unica per non morire loro stessi. Dicono. Ma la fine dell’euro – per un paese debole che abita nell’economia globale – non è la risposta. A meno che la domanda sia “state male, volete passare al reparto eutanasia?”.
Grande parata del partito antieuro, ieri mattina al parlamento europeo. Sessione davvero educativa e interessante. Parlamentari che in cinque anni di legislatura hanno avuto un ruolo da comparsa o poco più hanno invitato un gruppo di economisti ben preparati e dotati di una ottima retorica per illustrare i crimini dell’Europa monetaria definita a più tratti “sovietica” (applausi in sala, anche di chi prende lo stipendio dai “sovietici”).
Veramente ben costruita la presentazione. Sono economisti con gli attribuiti, quelli che si sono visti a Bruxelles. Esperti oratori. Li accomuna l’aver messo la propria scienza al servizio della causa antieuro, che in questo momento offre opportunità di gran visibilità e consenso diffuso.
Parlare bene della moneta unica o dell’Europa non è considerato “cool”. L’Europa ha le sue colpe nell’aggravarsi della crisi, soprattutto i governi nazionali (alcuni dei quali animati negli anni da esponenti dei partiti a cui erano legati gli organizzatori della conferenza), dunque la difesa è ardua, e l’attacco è un gioco da ragazzi. Soprattutto se si attribuiscono all’Ue e all’Eurozona, capri espiratori parecchio quotati, le scelte egoiste e poco lungimiranti dei premier europei.
Gli economisti hanno ricostruito la storia dell’euro. Sono stati puntuali, e perlopiù condivisibili, nel sottolineare i difetti della costruzione dell’Europa monetaria. L’analisi è stata sostanzialmente corretta: i governi europei non hanno fatto il loro meglio e non hanno creato le premesse perché l’Eurozona fosse una botte di ferro. Il patto monetario è stato progettato in modo inadeguato. Si potrebbe dedurne che l’idea degli oratori è che l’Europa non abbia fatto abbastanza per essere Europa, che ce ne volesse di più. Deve essere un abbaglio, viste le conclusioni.
Sono mancate almeno due cose:
1. Nessuno ha ricordato che è vero che l’euro è nato con una gamba storta, ma è anche vero che abbiamo avuto anni di stabilità formidabile e tassi bassi (chi ha un mutuo, lo sa) .E che senza l’euro l’Italia sarebbe probabilmente andata in bancarotta più volte. Che l’Europa è cresciuta bene e che l’Italia è cresciuta molto meno degli latri, anzi non cresce da vent’anni per problemi strutturali, assenza di riforme modernizzanti, scarsa produttività e meccanismi salariali indipendenti dalla produttività.
2. Non è stato per nulla tenuto da conto il fenomeno globalizzazione. Si sono fatti confronti con gli anni 50 e 60, gran belle citazioni da testi del secondo dopoguerra, validi senza dubbi ai loro tempi, ma tendenti all’obsoleto ora che il mondo è cambiato (e con esso i suoi cittadini). Negli anni Ottanta i nostri rivali erano i tedeschi e i francesi. Oggi sono i coreani. Certo possiamo pensare che il mondo fosse meglio trent’anni fa, ma il regolamento non l’abbiamo fatto noi. La svalutazione competitiva, oggi, sarebbe un suicidio. Tempo dieci-vent’anni e l’Italia sparirebbe.
Detto che l’analisi ha attimi di perfezione, ciò che ne risulta è un messaggio politico, di parte, con punte di cecità.
Ha mostrato il bravo economista ex “de sinistra” (credo “ex”) un grafico sull’indebitamento pubblico europeo da cent’anni a questa parte. Ha notato che siamo tornati al livello della seconda guerra mondiale. E’ vero. Poi, giustamente, ha spiegato che il boom si è avuto perché i governi hanno pagato i buchi delle banche. Lo hanno fatto per evitare la bancarotta degli istituti e salvare i depositi dei correntisti. Potevano farle fallire e bruciare i risparmi. Non una buona idea.
Qual era l’alternativa? Cosa c’entra questo con l’euro? Si può dire che se l’unione monetaria fosse stata fatta meglio, magari si sarebbe evitato qualche semicrac. Se la finanza avesse avuto regole ferree ed etiche non sarebbe successo? Forse no. Se ne può trarre che il vizio è l’assenza d’Europa, non l’Europa. L’euro di per se stesso non ha avuto effetto. Comunque il pubblico ha applaudito.
Si dice che gli economisti sono quella categoria che sa spiegare con precisione perché le proprie previsioni si sono dimostrate sbagliate. Magari non è questo il caso. Però alla fine dei numeri e dei dati, e dei ragionamenti acuti, è rimasto il vuoto propositivo. Ripetono “usciamo dall’euro prima di morire tutti”. Applausi. Poc’altro s’è sentito.
Nessuno ha spiegato come si può fare. Nessuno ha stimato gli effetti. Invece avrei voluto sapere: 1. Avete calcolato la misura dalla svalutazione della lira nel momento in cui uscissimo dall’euro? Avete calcolato di quanto costerebbero di più le materie prime importante dagli States o dalla Germania?
2. Avete calcolato l’aumento del costo della bolletta energetica visto che la gran parte delle risorse le compriamo all’estero e le paghiamo in dollari? (Uno degli economisti ha sottolineato “la menzogna” di chi dice che il prezzo della benzina salirebbe. Ha detto che quando il petrolio è sceso i listini alla pompa non son cambiati. Applausi. Però è falso. Mi ricordo in questo decennio la benzina in Belgio sotto l’euro e ora è quasi a 1,5. Fa 50 per cento di differenza. La variazione c’è stata eccome).
3. Avete calcolato di quanto aumenterebbe il costo del debito pubblico che, lira o euro, resterebbe oltre il 100 per cento del pil. Oggi è al 134. Ogni 100 punti base di spread sono circa 10 miliardi di euro di maggiore spesa. Perdiamo 20 o 30 miliardi con i tassi , poi voglio vedere la manovra possibile senza mettere le mani nelle tasche dei cittadini).
4. Siamo sicuri che svalutando ci mettiamo sulla strada dei più forti e non dei più deboli? Qual è il nostro modello? La locomotiva o il carro del carbone?
Due risposte le hanno date. Con parecchi condizionali, “se” e “ma”.
1. Non è detto che ci sarebbe inflazione, hanno spiegato. E se fosse, la soluzione sarebbe l’indicizzazione dei salari ai prezzi. Il ritorno della scala mobile! Hanno mostrato un grafico sul fatto che, storicamente, l’aumento dei salari genera domanda e dunque ha più effetti sull’economia dell’aumento della produttività. Certamente funzionava fra le due guerre. Oggi – che ci piaccia o no (e io ne farei volentieri a meno) – c’è la globalizzazione. Sono cambiate le regole. La produttività è necessaria per essere competitivi. Certo servirebbe anche un welfare europeo per compensare lo sforzo. Più Europa e non meno Europa.
. Per evitare scompensi di mercato, gli economisti immaginano anche la possibilità di chiudere per un po’ la porta alla circolazione dei capitali. Come Cipro, dicono. Nient’altro? Cipro ha potuto farlo perché è finita sotto programma Ue e perché ha scotennato i suoi risparmiatori. Se l’Italia volesse rimanere in piedi e non impoverire la sua gente farebbe fatica a bloccare i flussi di capitale. Quali? Quanti? E chi paga il debito?
L’alto livello di consenso ottenuto dai parlamentari e dagli economisti presuppone che il loro messaggio stia passando. La storia è dalla nostra parte, dicono. E il presente? E il futuro?
E’ giusto cercare di imparare dagli errori del passato, ma è anche giusto mettere le soluzioni possibili nella prospettiva della concretezza e di un possibile compatibile col presente.
La crisi è stata micidiale quanto gli errori commessi dall’Europa. La gente sta soffrendo. Non arriva alla fine del mese. In questo contesto già è insopportabile chi dice “I have a dream” invece che “I have a plan”. Chi chiude una conferenza con un “Buona fortuna”, invece che con “ecco come vi tirerò fuori dai guai” è anche peggio. Uscire dall’euro è la brace dopo la padella. Meglio sarebbe correggere i grandi difetti dell’Europa e metterla in condizioni di fare squadra per il bene comune.
Capisco che sia meno facile da vendere all’elettorato che cerca disperato una soluzione semplice per i suoi guai. Ma la fine dell’euro – per un paese debole che abita nell’economia globale – non è la risposta. A meno che la domanda sia “state male, volete passare al reparto eutanasia?”..
Applausi?

Fonte: La Stampa del 4 dicembre 2013

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