• domenica , 24 Novembre 2024

Eurobrevetto, l’italiano è fuori. Registrazioni solo in inglese, tedesco e francese. Roma:è una forzatura.

E’finita ventitré a due, con una coppia di astenuti e il ministro belga gongolante che annunciava di aver messo «la ciliegina sulla torta» del suo semestre di presidenza. Italia e Spagna non hanno convinto il Consiglio a riaprire il negoziato sul regime trilingue dell’eurobrevetto. E’ passata l’idea di avanzare con la «cooperazione rafforzata» richiesta da undici Paesi, strumento che consente a almeno un terzo dei Paesi Ue di adottare una politica insieme e aggirare i veti. I «patent europei» saranno dunque in inglese, francese e tedesco. «E’ una forzatura politica – attacca il sottosegretario agli Esteri Alfredo Mantica -, un atto giuridicamente ingiustificato che esclude alcuni paesi. La questione va discussa a livello di leader. E poi ci sono tante occasioni in cui creare disturbi».
Una brutta giornata, questa, anche se i nostri insistono nel dire che l’iter sarà lungo e resta tempo per ribaltare il risultato. Brutta perché è un passo che sa di tributo all’egemonia di Berlino e Parigi, e perché incrina il principio di solidarietà su cui si fonda l’Unione. Pesante, oltretutto, perché è la prima volta dal 1957 che Roma scende dal treno a dodici stelle. E’ una decisione «precipitosa frutto dell’arroganza franco-tedesca», ha detto Mantica, «un’accelerazione politica», il tentativo di «definire una gerarchia di poteri e valori che viola i principi di pari dignità degli Stati» dell’Unione. Il belga Vincent Van Quickenborn, che ha condotto la riunione del Consiglio Competitività Ue, pensa invece che ieri si sia visto un «passo importante per l’Europa» perché, rileva, si è chiuso un dossier decennale sul quale non «c’era più alcuna possibilità di trattativa». Non si poteva perdere altro tempo, aggiunge il commissario Ue al mercato interno Michel Barnier: «Oggi registrare un’idea costa 18.500 euro contro i 1850 degli Usa. Adesso scenderemo a 6000, è un risparmio per tutti».
Il meccanismo è complesso. Il compromesso della presidenza prevede due versioni per ciascun brevetto emesso dal nuovo Ufficio unico europeo: una in inglese, e la seconda in una delle altre lingue dell’Ue, presumibilmente quella del registrante. Le imprese potranno depositare le domande nella propria lingua, scegliendo quella in cui sarà emesso il brevetto fra inglese, francese e tedesco. Successivamente il proprietario del brevetto dovrà tradurlo a proprie spese in una seconda lingua, obbligatoriamente l’inglese se la prima è il francese il o tedesco; se, invece, il brevetto è stato emesso in inglese, allora lo si potrà tradurre in una qualsiasi lingua dell’Ue. Il nodo tecnico indicato da Italia e Spagna, anche con una lettera dei premier Berlusconi e Zapatero, è che sarebbe solo la prima versione del brevetto in una delle tre lingue ad avere valore legale. Quello politico è che la nostra lingua ha gli stessi diritti del francese e che ora ci saranno tre Paesi con traduzione certa e gli altri no.
La Commissione promette traduzioni automatiche certificate, ma è in alto mare e studia Google. Roma e Madrid solleveranno il caso al «prossimo vertice utile», il che non vuol dire giovedì. Barnier presenterà mercoledì la proposta di decisione per la cooperazione rafforzata per gli undici che l’hanno chiesta (ovviamente Berlino e Parigi sono comprese), spera di chiudere in marzo e dice che la porta resta aperta. Gli italiani pensano che il cammino è lungo, e c’è anche una sentenza della Corte Ue che può intervenire a cambiare i giochi. Nonostante lo smacco, la speranza è naturalmente l’ultima a morire.

Fonte: La Stampa 11 dicembre 2010

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