• venerdì , 20 Settembre 2024

Eolico, meglio di no e salviamo il paesaggio

SIA lode alle sovrintendenze dell’ Emilia-Romagna e della Toscana che hanno con grande impegno tecnico sostenuto la decisione delle autorità regionali e del lodevolmente eterodosso ministro dei Beni culturali, Galan, nel respingere il mega progetto di Poggio Tre Vescovi a cavallo dell’ Appennino (36 torri eoliche alte 180 metri) che rischiava di devastare uno dei più integri paesaggi storici della Penisola. La denuncia di questo ennesimo assalto a luoghi privilegiati (ma quali non lo sono?) del nostro territorio ha suscitato, comunque, diffuse reazioni. Le violenze in atto o in via di scatenarsi contro la città romana di Sepino nel Molise, contro la Tuscia e il lago di Bolsena (Viterbo) e contro altri siti in Toscana o altrove, sono state oggetto di documentate perorazioni inviateci perché le portassimo all’ attenzione dei lettori. C’ è anche, però, chi in nome del progresso, ne nega la priorità. Il signor Vincenzo Loreti di Follonica (Grosseto), ad esempio, mi scrive: “Se vogliamo le energie rinnovabili purtroppo dobbiamo accettare anche l’ impatto visivo. Installare qualche migliaio di pale eoliche lungo tutta la dorsale appenninica non mi sembra una follia.” Questo lettore, come altri, meritano una risposta argomentata, partendo da un dato: i consumi di elettricità – i soli che possono essere soddisfatti da fonti alternative – corrispondono solo al 30% del totale (la restante maggioranza riguarda i trasporti ed altri usi per cui necessita l’ olio combustibile). Nel 2008 l’ Italia ha prodotto una quantità di energia elettrica da fonti rinnovabili pari al 17,6% della corrente richiesta, con circa il 13% proveniente da fonte idroelettrica e la restante parte fornita dalla somma di geotermico, eolico, biomasse e rifiuti. Nel 2009 le rinnovabili hanno raggiunto il 22%, con un incremento dell’ eolico. Peraltro rispetto agli obiettivi di Kyoto l’ Italia resta al terz’ ultimo posto dell’ Unione. Pensare di incidere su questo gravissimo gap tramite una tecnologia che, per unanime previsione, potrà al massimo fornire il 2 % della componente elettrica dei consumi,è privo di senso economico. Il dato di fondo è in realtà un altro: l’ Italia non è un territorio vocato all’ eolico per troppa scarsa incidenza ventosa totale. Mentre in tutti i Paesi 2000 ore/anno segnano la discriminante per la fattibilità e la convenienza degli impianti eolici, in Italia quelle di vento produttivo ammontano a 1580 e in Toscana addirittura a 1252 h/anno, ossia meno di due mesi. Il fatto che il valore italiano del tempo di vento reale sia inferiore del 37% al minimo utile nel resto del mondo dovrebbe, per contro, spingerci a sovvenzionare il risparmio energetico nell’ edilizia e nei trasporti e, per l’ elettricità, il solare termodinamico e il fotovoltaico a concentrazione. Solo un accorto calcolo di profitti sicuri, grazie alla dovizia di incentivi pubblici volti a premiare unicamente i costruttori dei macchinari eolici, gli sviluppatori degli impianti e i cosiddetti “facilitatori” – fra i quali si annida il malaffare politico ed economico – dediti a promuovere progetti, permessi, valutazioni da rivendersi chiavi in mano, solo questo assieme d’ interessi spiega il proliferare dell’ eolico alle spese non solo dell’ erario ma di un bene reale di gran lunga più importante: un profilo ambientale, paesaggistico ed artistico unico al mondo. Tra i tanti esempi ricordiamo l’ obbrobrio che sta per perpetrarsi a Sepino e a Pietrabbondante (Molise) dove gli antichi insediamenti romani e sannitici dovrebbero venire snaturati e privati dal loro contesto agro pastorale dallo svettare di 16 torri alte quanto la Cupola di San Pietro. In nome dello “sviluppo” il Consiglio di Stato ha sancito il prevalere di una vecchia autorizzazione burocratica di fronte al vincolo paesaggistico ed archeologico frapposto dalle sovrintendenzea tutela dell’ antica città romana e del suo contesto. Un atto che indica una insensibilità culturale e costituzionale (art. 9: “La Repubblica tutela il paesaggio”) desolante quanto intollerabile.

Fonte: Reoubblica del 17 ottobre 2011

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