di Luigi Paganetto
Il presidente della Fondazione Economia Tor Vergata e coordinatore del Gruppo dei 20 fa chiarezza sulle mosse del governo per contenere l’impennata delle bollette di gas ed elettricità. Una scelta temporanea che non risolve la questione degli oneri che ci portiamo dietro da decine di anni
Dopo l’annuncio del Ministro Cingolani sul possibile aumento del costo dell’energia del 40%, il Governo ha disposto un intervento per circa 3,5 miliardi che prevede per l’ultimo trimestre dell’anno il taglio sia dell’Iva sul gas che degli “oneri di sistema” che dovrebbe limitare al 27% l’aumento delle bollette per l’ultimo trimestre dell’anno per 26 milioni di utenti domestici e 6 milioni di piccole imprese. Questa decisione, accolta con favore per la parte che sterilizza l’aumento del costo dell’energia per 3 milioni di famiglie meno abbienti, accende di fatto l’attenzione su che cosa ci aspetta nel prossimo futuro in materia di energia.
Intanto il provvedimento del Governo ha caratteri di temporaneità ma non è detto che altrettanto sia per l’aumento del costo del gas naturale che nasce prevalentemente dalla ripresa economica pressoché comune a tutti i paesi avanzati. È attraverso il gas che in Italia si ottiene la maggior parte della produzione di energia elettrica (67%). La scelta a favore del gas è stata determinata a suo tempo dal suo minor effetto inquinante rispetto a petrolio e carbone che, comunque, sono usati ancor oggi per produrre il 16% circa della nostra elettricità.
Sta di fatto che il costo dell’energia elettrica nel nostro paese è condizionato largamente dall’andamento del prezzo del gas a livello internazionale. Se il suo aumento non fosse temporaneo esso comporterebbe l’esigenza di spingere ancor più di oggi a favore di una maggior efficienza energetica.
In ogni caso la soluzione non può essere quella di una politica di sussidi di cui non si sappia chi ne debba sopportare l’onere anche se oggi essa si giustifica con l’esigenza di non frenare i consumi delle famiglie e la ripresa.
Ha ragione il Presidente Draghi nell’affermare, come ha fatto all’assemblea di Confindustria, che al provvedimento del Governo “deve seguire un’azione anche a livello europeo per diversificare le forniture di energia e rafforzare il potere contrattuale dei Paesi acquirenti”. Ma è chiaro che, in ogni caso, dovremmo preoccuparci di ridurre la nostra dipendenza dal gas. A ciò risponde, nel quadro degli impegni europei, l’obbiettivo, sia pure molto ambizioso, di produrre nel 2030 il 70% di energia elettrica attraverso le rinnovabili.
Va detto, per i critici delle politiche climatiche, che per il momento solo per una parte assai modesta gli aumenti in bolletta sono legati alle aspettative di aumento dei prezzi di emissione della CO2 previsti dalla Eu per la transizione ecologica. Vedremo in seguito.
C’è poi un altro aspetto che, con l’intervento del Governo, è tornato alla ribalta. Pur lasciando in bolletta gli “oneri di sistema” che da anni sono addossati ai consumatori, li mette temporaneamente a carico del bilancio pubblico per circa 2 miliardi. Sono circa il 20% di quello che paghiamo per il consumo di energia elettrica (4% nel caso del gas). Di questo 20%, il 7% rappresenta quanto ancora ci costa la “messa in sicurezza degli impianti nucleari”, il 2% è il contributo a favore delle “imprese elettriche minori” e il 66% circa sono incentivi a favore delle rinnovabili e cogenerazione a norma del Cip6 del 1992.
Quanto agli incentivi a favore della cogenerazione, la normativa legata al Cip6 1992 conteneva la equiparazione delle fonti rinnovabili (propriamente dette) a quelle “assimilate”, ovvero a termiche con utilizzo dei reflui, con la conseguenza che le “assimilate” caratterizzate da potenze e costi impiantistici superiori di diversi ordini di grandezza alle rinnovabili disponibili in passato, hanno assorbito nel corso degli anni la maggior parte degli incentivi. In questo ambito si è finito per incentivare insieme rinnovabili ed energia da fossile in cogenerazione. E ciò fa emergere un problema di incoerenza delle politiche in tema di incentivazione delle rinnovabili.
Quanto al nucleare è dal referendum del 1987 che l’Italia ha fermato l’esercizio delle centrali nucleari di Latina, Trino Vercelliese e Caorso che venivano messe di fatto nella condizione di “safe store” (custodia protettiva passiva) già prevista per la centrale del Garigliano, chiusa nel 1982. Stesso destino è toccato agli impianti del ciclo del combustibile.
La questione di fondo è che sono passati più di trent’anni ma l’onere in bolletta continua ad esserci.
La conclusione è che l’intervento del Governo, diretto ad evitare una “stangata” sui costi dell’energia non ha colto l’occasione per intervenire su questi aspetti “di sistema” perché ha scelto la strada della temporaneità assieme al rinvio di scelte necessarie come quelle di una regolazione in materia di energia in cui vengano affrontati i rapporti tra mercato e intervento pubblico e quelli dei rapporti tra fonti fossili e rinnovabili.
C’è da augurarsi che si tratti soltanto di un rinvio e che presto si provveda ad una revisione strutturale della bolletta assieme ad una chiara definizione delle scelte in materia di transizione energetica.
Fonte: da Formiche del 26/09/2021