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Emma Marcegaglia ha esagerato ma non sbaglia

FRANCAMENTE le affermazioni di Emma Marcegaglia ci sono sembrate esagerate. Soprattutto perché, durante i quattro anni al vertice di Confindustria, non risulta abbia dimostrato un particolare zelo nel rivendicare una riforma dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori nei termini — corretti e condivisibili — che sostiene al tavolo del confronto. E sinceramente sfugge perché — nel contesto di un negoziato tanto delicato — abbia rivolto una critica tanto pesante a degli interlocutori ai quali, fino a ieri, aveva dedicato un’attenzione spesso eccessiva. Non dimentichiamo che, nel settembre scorso, pur di accontentare la Cgil, aveva accettato di accantonare — suscitando l’uscita di Fiat da Confindustria — le opportunità che l’articolo 8 del decreto di Ferragosto attribuiva all’autonomia delle parti sociali per definire, nella contrattazione decentrata, soluzioni più idonee alla competitività delle aziende, anche in materia di recesso dal rapporto di lavoro. Eppure, lo strappo della Marcegaglia si basa su dati di fatto non completamente infondati. Che vi sia nella magistratura un atteggiamento in prevalenza favorevole (il 70% dei casi) al licenziato per motivi disciplinari è provato dalla giurisprudenza, in particolare, delle corti di merito. Ha suscitato scalpore la sentenza che ha ordinato la reintegra nel posto (perché le loro gesta erano state riprese con l’uso, ritenuto illegittimo, di audiovisivi) di quei dipendenti di un aeroporto, sorpresi a svuotare i bagagli dei passeggeri. Più recentemente una Corte d’Appello ha riformato una sentenza di primo grado, annullando il licenziamento di una dipendente di un’agenzia di assicurazione che, prima di rincasare, aveva sfasciato l’ufficio, dicendosi vittima di un raptus improvviso. Per non parlare, poi, del pubblico impiego: un giudice ha persino censurato le norme contro l’assenteismo, volute dal ministro Brunetta, perché ritenute lesive del diritto alla salute. Si dirà: non è colpa dei sindacati se i giudici sono di manica larga. Ma tutto balla intorno al tabù dell’articolo 18: il capestro dell’obbligo di reintegra ‘‘manu militari’’; il «perdonismo» giudiziario; i tempi lunghi della controversia; gli ingenti oneri economici del risarcimento e della liquidazione degli stipendi non percepiti. Fino a quando ?

Fonte: Quotidiano.net del 22 febbraio 2012

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