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Economisti divisi sull’impatto dell’Iva

Gli economisti del Cer non hanno dubbi: è essenziale riuscire a evitare l’aumento di un punto dell’aliquota dell’Iva in questo momento, perché anche un piccolo ritocco potrebbe provocare effetti dirompenti su un’economia già stremata. «Non si deve dimenticare – osserva Stefano Fantacone, economista del centro studi romano – che ciò che ha causato l’avvitamento nella recessione dell’economia italiana è stato il crollo dei consumi, dietro al quale c’è una forte caduta del reddito disponibile».
Il reddito degli italiani, aggiunge, è caduto anche perché l’inflazione è rimasta elevata, intorno al 3% anche in un anno di forte recessione come il 2012. Se quindi ora si passasse a un aumento di aliquota, che inevitabilmente comporterebbe un rialzo dei prezzi al consumo, quest’ultimo ancorché modesto sarebbe essenziale per dei consumi che in due anni stanno scendendo del 6 per cento.
Il Cer ha calcolato che negli ultimi cinque anni una famiglia media italiana ha perso circa 3.400 euro di potere d’acquisto. Inoltre, ricorda ancora Fantacone, l’intervento sull’Iva comporta inevitabili effetti regressivi, in quanto va a colpire in misura maggiore i redditi più bassi e gli incapienti. Di qui la proposta: «Siamo proprio sicuri – osserva Fantacone – che con il riordino degli incentivi fiscali non possano rinvenirsi i quattro miliardi di copertura necessari per rinunciare a questo aumento? In fondo, quando questa misura fu introdotta dal ministro Tremonti era prevista come “clausola di salvaguardia” : si sarebbe dovuto ricorrere all’aumento dell’Iva solo se il riordino degli incentivi non fosse andato in porto….».
Non tutti, però considerano la questione Iva nello stesso modo. A Prometeia, ad esempio, hanno già conteggiato l’impatto macroeconomico dell’innalzamento di un punto dell’aliquota (dal 21% al 22%) all’interno della previsione di base per il 2013.
La stima, certo non allegra, di una contrazione del Pil intorno all’1,9 per cento per quest’anno incorpora già l’effetto sui prezzi al consumo di questa misura, che dovrebbe provocare, in termini di inflazione, uno scalino dello 0,4% e dovrebbe incidere sul Pil per uno 0,2 per cento in meno. Si chiede dunque l’economista Paolo Onofri: «Se si vuole perseguire un aggiustamento delle scelte compiute in passato, perché non mantenere il programmato aumento dell’Iva e, anziché abolire l’Imu sulla totalità delle prime case, non trovare piuttosto i 4 miliardi che ciò costerebbe per ridurre gli oneri sociali?».
Secondo Onofri, una riduzione dei contributi che gravano sul lavoro per 4 miliardi da finanziare riducendo spese “improduttive”, che non incidano direttamente sulla domanda finale, avrebbe un effetto netto positivo sul Pil stimabile intorno al +0,2 per cento a regime e un analogo incremento sull’occupazione. Si tratterebbe di un impatto positivo modesto, ma che avrebbe quanto meno il vantaggio di andare nella direzione di un riequilibrio virtuoso della struttura impositiva del paese.
«Sono dieci anni – aggiunge Stefania Tomasini, altra esperta di Prometeia – che la Commissione europea chiede all’Italia di trasferire il carico fiscale dal lavoro e capitale a consumi, beni immobili ed ambiente. Del resto – sostiene Tomasini – non so se sia un bene questo rimettere continuamente in discussione scelte di policy già fatte: in una fase di recessione anche l’incertezza sulle prospettive del fisco, di certo, non aiuta».

Fonte: Sole 24 Ore del 25 giugno 2013

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