• lunedì , 23 Dicembre 2024

Ecco perche’ non possiamo non definirci “montiani”

Lo sappiamo da tempo. A Monti si perdona tutto. Persino quelle battute intempestive sulla crisi a cui veniva crocefisso Silvio Berlusconi. Pochi mesi or sono, durante il viaggio in Cina, il premier preconizzò che la crisi in Europa ormai era finita. Dopo il vertice di fine giugno, Monti si è presentato alla Camera declamando un bollettino della vittoria, nelle stesse ore in cui i media parlavano delle difficoltà di dare attuazione a quei mezzi impegni emersi durante l’incontro. Eppure, nei loro interventi, tutti i rappresentanti dei gruppi di maggioranza facevano a gara, in Aula, nel compiacersi di quegli irresistibili successi, attribuendone il merito alle loro proposte come se non sapessero che la del summit era sfiorita, come la rosa, nello spazio di un mattino.
Ma il più repentino del professore/senatore a vita si è avuto durante il suo ultimo pellegrinaggio tra le Cancellerie europee. In una dichiarazione radiofonica raccolta prima della partenza, Monti ha addirittura prefigurato la prossima fine del tunnel della crisi. Poche ore dopo, in Finlandia, ha lasciato intendere che l’Italia avrebbe potuto anche chiedere quel prestito internazionale la cui concessione è subordinata all’assunzione di precisi impegni sul piano del risanamento con annessa accettazione delle verifiche e delle ispezioni. In sostanza, siamo sempre daccapo: se Maometto non va alla montagna è la montagna a raggiungerlo.
Mario Monti ha applicato questo antico adagio all’Italia e al baratro su cui il Belpaese ballava ai tempi del Cavaliere. Grazie al ci saremmo allontanati dal precipizio; ma il cratere – alla stregua della montagna del Profeta – si sarebbe messo ad inseguirci. Così, siamo ormai ad un passo da quel commissariamento che Silvio Berlusconi aveva, in qualche modo, pre-negoziato con il Fondo monetario già nell’autunno scorso, raccogliendo, in patria, un ulteriore pacchetto di critiche da parte di quanti si erano eretti difensori di quella sovranità nazionale violata, poi strenuamente difesa per alcuni mesi, ma che, in questo mese d’agosto, sarà di nuovo in pericolo. Non viene il dubbio di aver perduto del tempo e di aver tentato inutilmente di evitare il commissariamento internazionale in cambio di uno , per essere costretti a tornare sui nostri passi un anno dopo, quanto tutto è diventato ancora più difficile?
Ma ormai è evidente che le chiavi della del Paese (se mai sarà possibile, visto che nessuna nazione europea può salvarsi o perire da sola) sono fortemente dipendenti dalla politica. Come possono gli investitori internazionali avere fiducia in un Paese che non sa ancora con quale legge elettorale voterà l’anno prossimo, che rischia di avere, in Parlamento, un happening di forze politiche, non solo eccentriche, ma anche ostili alla disciplina della Ue e delle Autorità internazionali, che pensano di avere delle alternative ad una politica di rigore e convinte che basti spogliare a colpi di imposte patrimoniali un manipolo di riccastri?
Già il Governo Monti è nato scontando una contraddizione molto seria: il suo programma era lo stesso indicato dalla lettera della Bce del 5 agosto 2011 per nulla condiviso dalla forza politica – il Pd – che in fondo lo ha sostenuto con maggiori lealtà e sofferenza. Anche il Pdl è stato leale, benché una pattuglia irriducibile di suoi deputati abbia voluto marcare il proprio dissenso, non partecipando o non votando le fiducie, come se ci fosse realmente un’alternativa all’attuale Governo. Salvo poi raccomandarsi che a nessuno venisse in mente di votare a novembre, quando tale ipotesi è emersa tra quelle possibili. Il male dell’Europa sta nel suo modello sociale. Così, se sarà chiesto il prestito, verranno poste delle condizioni sulla medesima linea della citata lettera della Banca centrale. E se il Governo le accetterà (potrà fare altrimenti?) esse varranno anche per gli esecutivi futuri: alla faccia delle e delle di Vendola e compagni.
L’unico modo per avere una chance di sopravvivenza, allora, è quello di stringere un patto tra le forze politiche che sostengono l’attuale compagine, impegnandosi a governare insieme, se gli elettori lo consentiranno, fino alla conclusione dell’emergenza. Una scelta siffatta va compiuta adesso già nell’impianto della legge elettorale. Certo, non vi può essere un meccanismo che garantisca a priori questo risultato, ma neppure uno che lo escluda. Guai a rimettersi nella logica delle coalizioni contrapposte, formate da forze politiche che, insieme, possono vincere nelle urne, ma non saranno in grado di governare.
Insomma, ormai ci siamo accorti che Mario Monti non è capace, come ci avevano raccontato, di camminare sulle acque e non sa moltiplicare i pani e i pesci. Eppure, piaccia o no, ormai non possiamo non definirci .

Fonte: Occidentale del 6 agosto 2012

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