Da anni in Germania la finanza vende i titoli dei Paesi più esposti per farne salire i rendimenti.
Da bravo scolaro, il presidente Monti si è sempre presentato alle riunioni del Consiglio europeo con i compiti a casa fatti, nella linea sangue, sudore e lacrime imposta dalla maestra Angela Merkel. In questo modo cercando di acquisire credibilità nei confronti della Germania, dell’Europa e dei mitici mercati. Non sempre siffatto atteggiamento è stato premiato, ha avuto, cioè, un riscontro in termini di spread.
Facciamo la pagella dell’anno scolastico del presidente Monti. In 11 mesi, il premier ha partecipato a 4 riunioni (per lo più inconcludenti) del Consiglio europeo: quella dell’8-9 dicembre nel 2011, e quelle dell’1-2 marzo, del 28-29 giugno e del 18-19 ottobre 2012.
Partiamo dalla prima. Al suo debutto in Europa, lo scolaro professor Monti si è presentato forte dell’approvazione in Cdm del decreto cosiddetto «salva Italia», con lo spread che, però, schizzava da 368 punti base a 444 in due giorni. Il primo marzo il Senato approvava il decreto cosiddetto «cresci Italia», questa volta con lo spread in discesa fino a sotto quota 300; ma, guarda guarda, solo perché il 29 febbraio la Bce aveva immesso nel sistema oltre 500 miliardi di liquidità. Il 27 giugno la Camera approvava, con tanto di fiducia, la riforma del mercato del lavoro. Un successone: lo spread è passato da 410 punti a 478 in pochi giorni. Ma la pur cattiva riforma Fornero c’entrava poco, rispetto all’opacità delle decisioni europee. Giovedì scorso, il presidente Monti si è presentato al Consiglio europeo a mani vuote: una legge di Stabilità per il 2013 modificata diverse volte nel passaggio dal Consiglio dei ministri al Parlamento e su cui si è scatenata la polemica politica. Una manovra (all’apparenza) minimalista, piena di inutili cattiverie e senza alcuna visione forte.
Mani vuote, dunque, quelle del presidente Monti all’ultimo Consiglio europeo. Ma qui viene il colpo di scena: venerdì sera lo spread ha chiuso a 318 punti, come non si vedeva dal 26 marzo scorso. Questo a conferma che tra i fondamentali degli Stati, le loro politiche economiche e l’andamento degli spread non c’è nessuna correlazione. Lo spread si compone di 3 variabili: merito di credito dei Paesi (100-150 punti base); premio di reversibilità dell’euro, cioè il rischio di implosione della moneta unica (150-200 punti) e effetto fuga degli investitori verso il Bund tedesco (100-150 punti).
Se così stanno le cose, inutile accanirsi con il sangue, sudore e lacrime, perché quello che conta veramente sono le decisioni, o le non decisioni, in sede europea, in particolare Bce e Meccanismo europeo di stabilità. Nell’ultima settimana i mercati hanno giudicato positivamente, la road map definita dai presidenti di Consiglio europeo, Commissione europea, Eurogruppo e Bce verso l’unione bancaria, economica, fiscale e politica, anche se giovedì e venerdì la Germania, ha rimesso per l’ennesima volta tutto in gioco, come se il vertice precedente che aveva avviato il percorso virtuoso delineato nel documento dei quattro presidenti, non ci fosse mai stato. Quindi effetto positivo, ma bloccato. Tema del contendere è stata la vigilanza bancaria. Ma non la vigilanza sulle banche spagnole o su quelle italiane, che sono le più solide dell’eurozona, ma sulle banche tedesche, su cui si gioca tutta la partita.
Se andiamo ad analizzare l’inizio della bufera finanziaria, vediamo come in Italia la corsa a rialzo dei rendimenti dei titoli di Stato (n.b.: i rendimenti, che si formano sul mercato primario delle aste e determinano il servizio del debito e non gli spread, che si formano sul mercato secondario) sia cominciata a giugno 2011, ma in realtà la tempesta perfetta si stava preparando già qualche mese prima. In effetti, tra febbraio e maggio 2011, c’è stata calma piatta sui mercati, che hanno visto i rendimenti dei titoli decennali tedeschi stabili attorno al 3,28% e i rendimenti dei Btp italiani ugualmente stabili, tra il 4,73% e il 4,84%, con 150 punti circa di differenza (spread). Con una sola avvertenza: i rendimenti dei titoli del debito pubblico della Germania erano su una curva ascendente, in ragione non tanto dei problemi della finanza pubblica, quanto di quelli della finanza privata: le banche, oggettivamente a rischio. Le banche tedesche, infatti, hanno al loro interno rilevanti componenti di debolezza che derivano dai loro comportamenti spericolati e dai loro investimenti sbagliati. Ricordiamo come la finanza privata tedesca abbia reagito male agli stress test cui è stata sottoposta dall’Autorità bancaria europea (Eba) nell’aprile 2011 e ai vincoli di ricapitalizzazione previsti da Basilea 3. Alto rendimento dei Bund significava, dunque, deprezzamento del loro valore e conseguente prospettiva di ricapitalizzazione per gli istituti di credito tedeschi.
Il combinato disposto dell’aumento dei rendimenti dei titoli pubblici, del dubbio valore dei titoli tossici e delle perdite sui titoli greci nei portafogli delle banche da una parte e le regole stringenti di Eba e Basilea 3 dall’altra hanno, quindi, generato una situazione di forte tensione nel sistema finanziario privato tedesco. La reazione è stata geniale e cinica: la finanza privata tedesca, con l’appoggio implicito del proprio governo, ha trasferito la crisi potenziale del suo sistema bancario sui paesi più deboli dell’eurozona. Come? Vendendo e dando indicazioni generalizzate di vendere i titoli del debito sovrano, prevalentemente greci e italiani, sul mercato secondario, al fine di aumentarne i rendimenti sul mercato primario.
A un anno e mezzo di distanza, il disaccordo è unicamente sull’unione bancaria, che la Germania vuole costruire a propria immagine e somiglianza. Immagine niente affatto virtuosa. Al riguardo, la posizione di Angela Merkel è chiara: vigilanza unica affidata alla Bce, ma solo sulle banche di rilevanza sistemica, assolutamente no sugli istituti regionali – le Landesbanken – o sulle casse di risparmio – le Sparkasse – dove si annida la più alta opacità. E non da subito, ma dopo le elezioni tedesche. Bell’esempio di rigore e trasparenza. Ed è così che la riunione del Consiglio europeo della scorsa settimana è servita solo per festeggiare il Nobel per la pace e i 20 anni di mercato unico europeo dei beni e dei servizi.
La boutade, inoltre, del super commissario con poteri di veto sui bilanci nazionali ha fatto concentrare gli sforzi dei leader europei su una trappola escogitata per distogliere l’attenzione dal tema che stava veramente a cuore alla Cancelliera: rendere operativo il nuovo supervisore unico bancario non prima del 2014.
Peccato. Proprio in una fase in cui erano stati individuati gli strumenti e i percorsi per uscire dal tunnel e proprio in un momento in cui i mercati hanno cominciato a guardare positivamente all’Europa e alle regole che si è data. Ma di questo alla Germania interessa poco. Vengono prima i suoi fini politici. Come l’annuncio di Mario Draghi di acquisto sul mercato secondario di titoli del debito pubblico dei paesi sotto attacco speculativo con vita residua fino a 3 anni aveva fatto diminuire in un giorno, dal 2 al 3 agosto, lo spread di oltre 50 punti in Italia e in Spagna, se giovedì e venerdì, invece di litigare si fossero definite date rapide di realizzazione dell’unione bancaria e si fosse dato il via libera alla ricapitalizzazione diretta delle banche spagnole, come previsto dall’accordo di giugno, probabilmente lo spread sarebbe sceso ancora, fino ad azzerare la componente riconducibile al rischio di break up dell’euro, che, al contrario, dati gli esiti del vertice, continua a valere ancora da 150 a 200 punti. Se l’Europa avesse fatto fino il suo dovere, si sarebbe messo fine a questa crisi.
Purtroppo, invece, l’impasse durerà fino a settembre 2013, data delle elezioni tedesche. Che fare? Bisogna chiudere la partita con la Germania al più presto. Senza più accettare, da parte dei paesi sotto attacco speculativo, le solite colpevolizzazioni. Questa triste storia deve finire. Ma il problema non si risolverà con summit romani primaverili, solo perché a Angela Merkel piace la nostra capitale senza Berlusconi, bensì affrontando la crisi alla radice. Approfittando, in Italia come negli altri paesi dell’Unione, delle scadenze del Semestre europeo e, quindi, della legge di Stabilità per il 2013. Per quanto ci riguarda, occorre sì confermare gli impegni di rigore, ma allo stesso tempo imboccare definitivamente la strada dello sviluppo, a partire dalla riduzione della pressione fiscale su famiglie e imprese, in maniera seria.
L’imbroglio dello spread, è chiaro chi ne ha approfittato, è chiaro chi ne è stato vittima, chi lo ha innescato e chi non vuole risolverlo. Sarebbe ora di dire basta! Bravo François Hollande, che ha fatto il duro con Angela Merkel. Se il professor Monti non era d’accordo con i paletti posti dalla Germania, perché l’ha detto in conferenza stampa e non ha battuto i pugni sul tavolo quando la riunione del Consiglio europeo era ancora in corso? È così che si riconquista un ruolo centrale in Europa. Non continuando a chinare la testa, ancorché in buona fede.
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