Un pamphlet di fuoco scritto da un gruppo di studiosi italiani che lavorano all’estero svela la verità sul super ministro: che si vanta di conti inesistenti per coprire tre anni in cui ha fatto solo danni.
I suoi critici più spietati sono economisti emigrati. “Giulio Tremonti straparla ma non straparla a caso: straparla per coprire il suo fare o meglio il suo non-fare. Perché è vero: fare fa poco, ma quelle poche cose che fa sono comunque dannose per il Paese”, hanno scritto Alberto Bisin, Michele Boldrin, Sandro Brusco, Andrea Moro, Aldo Rustichini e Giulio Zanella, animatori del sito noisefromamerika.org e autori di “Voltremont”, un pamphlet antitremontiano giunto alla sua seconda edizione.
Nei giorni delle pagelle rilasciate dall’Ocse e dal Fondo monetario Tremonti, da poco incoronato “possibile delfino” da Silvio Berlusconi, si è preso la rivincita: “Abbiamo superato l’esame”, si è congratulato con se stesso il ministro dell’Economia. Che nei giorni precedenti aveva dovuto però incassare le proteste degli imprenditori della Confindustria e di Rete Imprese di fronte alle misure “per lo sviluppo” approvate dal Consiglio dei ministri giovedì 5 maggio. Un coacervo di provvedimenti destinati, nelle intenzioni del governo, a dare “una frustata” o “una sferzata” all’economia ma che non hanno riscosso l’entusiasmo dei presunti beneficiari. Anzi. Nel decreto si trova di tutto: dalla carta d’identità elettronica multiuso a una nuova versione del piano casa, dalla semplificazione degli adempimenti fiscali alle nuove regole per gli appalti, dalla possibilità di rinegoziare i mutui a tasso variabile alla nuova authority per l’acqua, dall’assunzione dei precari della scuola al diritto di superficie per 90 anni agli stabilimenti balneari.
Per pensare che questo basti a ribaltare la tendenza degli ultimi 12 anni occorre molto ottimismo. La tabella della pagina a fianco, tratta dal volume degli “amerikani”, dimostra che il ritardo dell’Italia in termini di crescita sta diventando abissale. Un argomento su cui battono anche l’Ocse e il Fmi, suggerendo di puntare su riforme strutturali vere: proprio quelle che Tremonti non riesce a fare.
I conti in sicurezza
Al ministro tutti, anche a sinistra e tra i commentatori più esigenti, riconoscono il merito di non aver ceduto alla tentazione di usare il bilancio pubblico per affrontare la recessione del 2008-09. E in effetti il peggioramento del deficit e del debito, che pure c’è stato, è inferiore rispetto agli altri Paesi. Del resto, a Tremonti il messaggio era arrivato forte e chiaro: al primo segnale di cedimento la speculazione attaccherà l’Italia come ha fatto con la Grecia, con l’Irlanda e con il Portogallo e come ancora minaccia di fare con la Spagna. Nessuno sgarro è consentito. Ma la difesa dei bastioni del rigore è diventato un alibi per giustificare l’immobilismo: non ci sono soldi da spendere, quindi bisogna aspettare tempi migliori. E così l’economia si è seduta: chi può fare da sé riesce a difendersi, gli altri lottano per la sopravvivenza.
Fatti e proclami
“Quando Tremonti è stato ministro il saldo primario relativo al Pil si è sistematicamente ridotto rispetto alla gestione del ministro precedente”, documentano Bisin & co. nel loro “Voltremont” (vedere grafico qui sotto), titolo scelto pensando a Voldemort, il cattivo della saga di Harry Potter. Il saldo primario è la differenza tra entrate e uscite al netto degli interessi. Con Tremonti, quindi, le politiche di bilancio tendono a non essere virtuose: se il saldo primario peggiora e la pressione fiscale non si riduce, vuol dire che la spesa aumenta. Poi c’è la parte interessi.
Nonostante la “tenuta” dei conti italiani di fronte alla recessione, il mercato ha fatto capire di aver paura dell’elevato livello del debito in rapporto al Pil e ha fatto aumentare la “penale”, cioè il premio per il rischio sui titoli di Stato. Che si misura con lo spread, cioè la differenza di rendimento rispetto ai titoli in euro della Germania, il Paese considerato meno rischioso: questo spread è salito spesso fino a 200 punti base (2 per cento) nel 2009-10.
La riforma fiscale
Il livello delle entrate, in rapporto al prodotto interno lordo, è ai suoi massimi storici. Ed è difficile che possa scendere in assenza di consistenti tagli alla spesa pubblica e di una ripresa che faccia crescere il Pil. Ma Silvio Berlusconi e Tremonti hanno promesso una riforma fiscale, senza meglio definirla. Sono state insediate quattro commissioni che sono dei piccoli Cnel, con una sessantina di partecipanti ciascuna, dove tutti badano a tutelare i privilegi della categoria che rappresentano. Il modo migliore per concludere poco o nulla.
Pensioni a posto
Su questo fronte Tremonti ha lavorato bene completando il processo di riforma della previdenza avviato quasi vent’anni fa. Soprattutto ha agganciato l’età di pensionamento all’aspettativa di vita della popolazione. Solo che gli effetti della riforma avrebbero dovuto essere spiegati alla gente: se la pensione si riduce in rapporto all’ultimo stipendio, bisogna imparare a risparmiare per tempo e occorre fare in modo che si resti al lavoro il più a lungo possibile (senza scorciatoie anticipate). E invece il ministero telefonava ai giornali perché dessero poco spazio alle novità: “Altrimenti la gente si preoccupa”.
Il debito atomico
Nella sua ansia di presentarsi al mondo come risanatore Tremonti ha fatto passare il concetto che un Paese le cui famiglie sono poco indebitate può permettersi un debito pubblico più elevato. Come se, in caso di bisogno, il Tesoro potesse attingere a suo piacimento ai risparmi degli italiani per finanziare il proprio fabbisogno. Non contento, per risalire la china delle classifiche internazionali che ci vedono nelle posizioni peggiori in termini di rapporto debito-Pil, dopo l’incidente di Fukushima il ministro si è inventato il concetto di “debito atomico”: quelle spese, non contabilizzate, che altri Paesi dovranno sostenere per il decommissioning delle centrali nucleari e per lo smaltimento delle scorie. L’Italia non ha centrali e quindi è avvantaggiata rispetto, per esempio, alla Francia o al Giappone che ne hanno tante. Peccato che il governo Berlusconi fino a poche settimane fa ne progettasse otto, giudicandole indispensabili per ridurre il costo dell’energia e la dipendenza dai paesi esportatori di gas e petrolio.
Think tank
Una volta il ministero del Tesoro si appoggiava alla Banca d’Italia, quello delle Finanze consultava l’Assonime, quello del Bilancio discuteva con i centri di previsione come Prometeia, il Cer, l’Irs. Adesso il ministero dell’Economia, in cui sono confluiti tutti e tre, non si sa bene con chi si confronti. E’ autoreferenziale. Il momento di massima elaborazione collettiva sono i seminari dell’Aspen Institute Italia, di cui lo stesso Tremonti è presidente, dove si riuniscono politici di diversa estrazione, banchieri, manager e studiosi per scambiarsi idee e proposte.
Cassa depositi e prestiti
Doveva essere il braccio armato del ministro: finanziamento delle infrastrutture, edilizia sociale, capitale per le Pmi, rete in fibra ottica per la banda larga, difesa dell’italianità delle grandi imprese, ricapitalizzazione delle banche. Le munizioni sono le abbondanti risorse (200 miliardi) della raccolta postale. Con la non piccola controindicazione che quei risparmi sono garantiti dallo Stato e che, quindi, non si possono utilizzare per impieghi rischiosi con troppa disinvoltura. Ma la Cdp non ha fatto sfracelli, anzi. E’ rimasta buona buona a godersi la sua popolarità, modificando statuto e sito secondo occorrenza, ma senza espandersi troppo.
E’ ufficiale:Tremonti straparla
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