Nel comunicato del G20 la parola crescita ed il verbo crescere appaiono almeno una mezza dozzina di volte. Ed è proprio sulle politiche di crescita (o di risanamento della finanza pubblica) che si imperniato, e per certi aspetto, avvitato il vertice.. Lanteprima non era stata delle migliori: un altro G20 (i 20 istituti econometrici internazionali, tutti privati, che costituiscono il gruppo del consenus, ossia quello le cui previsioni rappresentano la quintessenza delleconomia quantitativa), ha diramato il 22 giugno le proprie stime: crescita sostenuta negli Usa ( il 3,3% nel 2010 ed il 3% nel 2011) e in Paesi emergenti come India e Cina (rispettivamente 7,8% e 8% la prima e 9,9% e 8,2% la seconda), ma piatta nellarea delleuro (1,1% e 1,3% nei due anni presi in considerazione). Le stime sono state confermate il 25 giugno. Nel quadro di una decelerazione in Europa (a ragione delle manovre parallele di bilancio dei maggiori Paesi Ue), non è in incoraggiante la situazione dellItalia: lanalisi econometrica preliminare dello stesso Ministero dellEconomia prevede una contrazione delloccupazione (e, quindi, un aumento di coloro che cercano lavoro senza trovarlo) sino al 2014 e, quindi, una riduzione di salari medi e di consumi.
Una settimana prima del G20,il Presidente Obama si è rivolto al Presidente della Commissione Europea , Barroso, perché il Vecchio Continente prema sullacceleratore. Pur onorato di essere trattato quasi alla pari dallinquilino della Casa Bianca, Barroso ha rinviato al mittente il suggerimento dicendo a tutto tondo che senza una riduzione di debito e di deficit non si da ai mercati la fiducia necessaria perché politiche orientate alla crescita possano avere gli effetti sperati. Due determinanti, comunque, frenano lUe: la struttura demografica (e le implicazioni dellinvecchiamento sulla produttività) e gli statuti che limitano al 2% lanno il tasso daumento dei prezzi al consumo ammissibili prima dinterventi diretti a restringere lofferta monetaria . Inoltre un lavoro ancora inedito del Gruppo Bruegel (uno dei più stimati osservatori delleconomia europea) documenta che sino a quando leconomia e la finanza internazionale saranno dominati dal profondo rosso dei conti con lestero Usa (420 miliardi di dollari negli ultimi 12 mesi) in gran parte saldati con acquisto di titoli americani da parte della Cina (un saldo attivo di 282 miliardi di dollari nello stesso arco di tempo), lEuropa appare condannata ad essere il vaso di coccio a crescita bassa. Lo è, però, ancora di più se si presenta (come ha fatto al G20 di Toronto) con posizioni solo formalmente unitarie, ma disunita (anzi, ai ferri corti tra Stati dellEurozona) su questioni cruciali (quali la riorganizzazione del Fondo monetario internazionale).
In che misura lannuncio che la Cina utilizzerà una politica più flessibile di cambio (salutata dalle Borse con fiumi di champagne) è stata presa in considerazione nella lettura del futuro a medio termine delleconomia mondiale. Probabilmente solo in parte: le stime indicano un rallentamento tra il 2010 ed il 2011 nel rapido tasso di crescita delleconomia cinese. La flessibilità del cambio verrà attuata gradualmente (procurando vantaggi agli esportatori di high tech e di macchinari) in quanto i cinesi hanno chiaro il ricordo degli oltre 15 anni di stagnazione in Giappone dopo la rivalutazione dello yen in seguito allaccordo del Plaza del 1985. Un Paese con forti tensione interne (i senza lavoro nel settore urbano raggiungerebbero, secondo fonti internazionali, i 150 milioni), rischia grosso se non cresce ad un tasso tale da alimentare creazione di nuovi posti di lavoro.
Non è neanche necessariamente pro-crescita una misura al centro del G20 e fortemente voluta da Washington e da alcuni Stati Ue: limposta sugli utili bancari (inizialmente proposta da Washington):potrebbe essere passata sui clienti (aumentando il costo del credito). Non se ne è fatto nulla.
E’ la crescita a dividere gli Stati Uniti ed Europa
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