Gli interventi per uscire dalla crisi coinvolgono anche problemi di legittimità democratica: è necessaria la cooperazione fra tutti gli Stati del mondo, ma in che modo si può arrivare alle decisioni giuste? Per il discorso di apertura della seconda edizione di «Biennale Democrazia» di Torino, oggi alle 15 al Teatro Carignano, il Governatore Mario Draghi ha scelto un argomento impegnativo: che cosa abbiamo imparato dalla grande crisi, che cosa deve essere cambiato nelle politiche economiche. Da grande tecnico, non si nasconderà che il rapporto fra scelte tecniche e scelte politiche si trasporta su un piano nuovo. Gli Stati nazionali restano lo strumento principale di formazione democratica delle decisioni, eppure devono rinunciare a una parte della loro sovranità. Con tutti suoi ritardi e le sue incongruenze, la cooperazione realizzata allinterno dellEuropa, nellUnione e nellarea euro può essere un modello utile per tutto il mondo.
Nel giudizio della Banca dItalia, i Paesi avanzati del mondo hanno reagito con efficacia nel 2008-2009, contenendo non solo lampiezza ma anche la durata di una recessione che rischiava di essere perfino più grave di quella degli Anni Trenta; però adesso scontano il grande sforzo compiuto. In alcuni di essi tornano in primo piano le debolezze precedenti; in altri arriva il conto delle ingenti spese con cui è stato impedito il disastro; si trovano tutti, chi più chi meno, con margini di intervento molto ristretti. Intanto gli stessi mercati che nel 2008 sollecitavano massicci stimoli monetari e fiscali per contenere la crisi, dal 2009-2010 sono passati a preoccuparsi delle eccessive dimensioni raggiunte dai debiti pubblici. Prima o poi anche gli Stati Uniti dovranno adottare misure drastiche per risanare il loro bilancio. Nel frattempo i Paesi emergenti, passati allavanguardia della crescita economica mondiale, premono sui mercati delle materie prime con la loro accresciuta domanda, causando un aumento dei prezzi che può ulteriormente frenare la ripresa nei Paesi avanzati.
La cooperazione è necessaria proprio per evitare che nuovi squilibri si aggiungano ai vecchi. Come banchiere centrale europeo, Draghi vede quanto sia stretto il sentiero per combinare al meglio le decisioni di Stati Uniti, Europa, Giappone, Cina, India, Brasile (ne discuterà negli incontri di Washington nel fine settimana); larea delleuro per mettersi al sicuro da nuovi rischi dovrebbe migliorare le decisioni prese fin qui, che sono positive ma ancora insufficienti. E chi, come Draghi, aspira a guidare la Banca centrale europea, deve fare i conti con la nuova rilevanza politica che la guida di quella istituzione ha assunto negli ultimi tempi.
Draghi:eppure l’Europa resta un modello
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