di Franco Debenedetti
Certo, non c’è il due senza il tre. Certo, omne trinum est perfectum. Ma la Santissima Trinità delle reti proprio no. Più che una bestemmia, è un’eresia: la rete telefonica non potrà mai “procedere” da quella elettrica e del gas, per la sostanziale natura che da quelle la differenzia. Infatti, mentre l’energia elettrica è prodotta in centrali, il gas viene estratto da pozzi, e l’una e l’altro trasportati agli utilizzatori finali, in una rete telefonica i prodotti – voce e dati –sono creati dai clienti che se li scambiano tra loro. La rete fisica – rame, cavo, fibra, ponti radio, centraline- è una cosa distinta dalla rete logica che, tramite calcolatori e programmi software, assicura che la comunicazione sia spacchettata all’origine, convogliata e reimpacchettata a destinazione senza errori.
Di quale rete parla Franco Bassanini, quando, con sicura determinazione, afferma che nel futuro di Telecom (oggi TIM) ci sono solo due opzioni, o vendere la sua a OpenFiber o “staccarla”? Dove traccia la linea divisoria tra infrastruttura e servizio? Vorrà pure dire qualcosa se in tutto il mondo (tranne che a Singapore, Australia e Nuova Zelanda) nessuna telco né ha venduto la rete né è stata obbligata a farlo? Parentesi: contrariamente a quello che Bassanini vuol fare intendere, la separazione societaria di Open Access è una forma organizzativa interna, richiesta dal regolatore ai fini di evitare conteziosi con altri operatori in merito all’accesso in condizioni paritarie alla essential facility, che resta di proprietà British Telecom. Chiusa la parentesi.
Logico che il presidente di OpenFiber canti le lodi della propria rete interamente in fibra. Ma il decisore pubblico sa che “scegliere il vincitore” è un esercizio rischioso anche, forse soprattutto, quando si parla di tecnologie, ancora di più in un settore dove cambiano con tale rapidità. Quello che conta è la prestazione, e per quella c’è un regolatore che vigila. Il presidente di OpenFibre ha probabilmente ragione quando rivendica la funzione di “pungolo competitivo” che ha avuto nello stimolare TIM ad accelerare i propri investimenti, lanciando il piano da 11 mld€ in tre anni, il più grande in assoluto in Italia, con il quala i 30 Mb/sec saranno garantiti nel 2017 all’85% e l’anno successivo al 95% delle famiglie italiane. In aggiunta alla copertura del mobile in 4G, dove con il 97% (98% entro fine anno) siamo tra i migliori in Europa. Su un totale di 150.000 cabinet (armadi), 98.000 sono già collegati in fibra ai backbone, sicché i dubbi che Bassanini solleva sull’adeguatezza del concorrente a fare lo stesso anche con il 5G, oltre che poco eleganti paiono anche poco fondati.
Che la rete telefonica fosse, di fatto, un monopolio naturale, è stato per anni considerato un fatto negativo, nonostante tariffe e prestazioni fossero stabiliti dal regolatore. Adesso sembra che si stia riuscendo a fare una seconda rete. A che prezzo – tra Enel, CDP, incentivi statali – e con quale utile speriamo di riuscire almeno a ricostruirlo. Ma soprattutto che senso ha ritornare alla casella di partenza, travasando l’una nell’altra? Il monopolio (di stato) che avremo ricostituito lo chiameremo artificiale?
Ma quello che lascia più che perplessi, interdetti è la logica di tutta l’operazione. Logica economica: il valore della rete TIM è stimato intorno a 15 miliardi, quasi un punto di PIL. I soldi per comprarla sono del contribuente: con quale il benefico economico, se non quello di eliminare un concorrente a Open Fibre? E soprattutto logica politica. E’ opinione degli analisti che la divisione dei profitti tra fornitori di contenuti e fornitori della connettività con cui scambiarli sia in prospettiva nettamente a vantaggio dei primi. Vivendi intende utilizzare TIM, di cui fortuitamente è diventato azionista di riferimento, per facilitare la distribuzione dei contenuti che ha e di quelli che cerca di acquisire. 15 miliardi dalla rete, più il provento della vendita di TIM Brasile, che quindi non avrebbe più nessun ragione per non vendere: un bel tesoretto per la sua campagna acquisti. In Europa, e, perché no, anche in Italia.
Fonte: IL FOGLIO, 09 Agosto 2017