• giovedì , 21 Novembre 2024

Dottrina Draghi per euro e Bce

E’ stato Mario Draghi, nelle considerazioni finali del 31 maggio, a sottolineare “l’ansia improvvisa” per la sostenibilità dei debiti sovrani subentrata nei mercati al sollievo per la catastrofe evitata nel 200809, quando il collasso della fiducia degli investitori, dei risparmiatori e degli operatori finanziari seguito al crollo della Banca Lehman è stato arginato dalla azione decisa di autorità monetarie e governi. Ora l’ansia improvvisa dei mercati si traduce per il nostro governatore in «vendite mirate dei titoli di stati che hanno ampi deficit di bilancio o alti livelli di debito pubblico; soprattutto quelli di paesi dove queste due caratteristiche si combinano con una bassa crescita economica. Quanto più questa è debole, tanto più esigente, pressante, è la richiesta degli investitori internazionali di un rapido rientro dagli squilibri nei conti pubblici». Il successo della manovra di emergenza iniziata nell’autunno 2008 ha posto in rilievo un difetto statutario della Banca centrale europea, la mancata attribuzione ad essa della funzione di prestatore di ultima istanza. All’inizio della crisi postLehman tale difetto non si è fatto sentire perchè la crisi ha investito le banche, specie per la paralisi dei flussi interbancari internazionali seguito all’instaurarsi della totale sfiducia nelle controparti anche abituali, e al tentativo affannoso da parte di ciascuna banca di rafforzare la propria liquidità sospendendo i pagamenti a breve all’interbancario internazionale.
Il sistema dei pagamenti costruito con molta abilità, su progetto italiano, dalla Bce e dal sistema europeo delle banche centrali dopo l’unione monetaria, dava infatti alle banche centrali nazionali e alla Bce la possibilità di immettere con la massima rapidità enormi quantità di fondi liquidi sui mercati, contro titoli privati dei più vari, rifinanziando senza limiti le banche commerciali che chiedevano fondi e riciclando gli stessi fondi che le banche immediatamente dopo averli ricevuti ridepositavano presso l’unico prenditore a rischio zero, la stessa Bce o le proprie banche centrali. Queste transazioni nei propri manuali la Bce le chiama “operazioni di mercato aperto” con un estensione del significato della espressione. Infatti le vere operazioni di mercato aperto, rese popolari dal loro uso pluridecennale da parte della Fed, consistono in compere e vendite, da parte della banca centrale, di titoli di stato del proprio paese, per l’appunto sul mercato aperto di tali titoli.
La Bce, nei suoi dieci anni di vita, aveva escluso di potere usare questo strumento, allo scopo di non incorrere nell’ira di coloro che la avevano voluta per statuto del tutto separata e indipendente dai governi dei paesi membri della Ume. Per quest’esclusione alcuni commentatori avevano notato che la Bce sarebbe stata, in tempo di crisi, limitata fortemente nella propria azione di sostegno dei mercati finanziari. Quando la sfiducia degli stessi mercati si è spostata dalle banche agli stati che, salvandole, si erano indebitati e si stavano indebitando fino al collo, quello che lo stesso Draghi non esita a definire “attacco che colpisce oggi l’area dell’Euro”, ha mostrato i limiti della visione del mondo sottostante la creazione della Bce, che ha portato alla esclusione delle operazioni di mercato aperto in senso proprio, quelle che coinvolgono i titoli di stato dei paesi membri. Naturalmente, poichè i tempi di crisi sono gli unici che autorizzano il superamento di preclusioni illogiche o solo obsolete, la BCE ha avuto dalle banche centrali dei paesi membri l’autorizzazione, e probabilmente l’invito pressante, a entrare sul mercato secondario dei titoli di stato dei paesi vittima dell’attacco di cui parla Draghi, attacco reso possibile, sempre secondo Draghi, “dall’incompiutezza del progetto” di area valutaria unica e che “si dirige verso i suoi membri più deboli”, isolando cioè, col comportamento tipico del branco degli animali da preda, le vittime più indifese o più irresponsabili.
Per quanto riguarda Draghi, è perfettamente conscio che nessuna esitazione debba essere mostrata ai mercati da parte delle autorità monetarie della Ume. Egli afferma con la massima nettezza: «Non c’è che una risposta: l’euro vive con tutti i suoi membri, grandi e piccoli, forti e deboli. Se è stato illusorio pensare che la moneta da sola potesse fare l’Europa, oggi l’unica via è quella di rafforzare la costruzione europea nella politica, con un governo dell’Unione più attivo nella disciplina dei bilanci pubblici e nel progresso delle riforme strutturali, con un nuovo patto di stabilità e crescita al tempo stesso più vincolante e più esteso». Questo, tradotto in azione pratica, vuol dire approvare la decisione di far intraprendere alla Bce operazioni di mercato aperto in senso stretto. Ma, a tali operazioni ha mostrato di essere contrario lo stesso governatore della Bce. Dopo che si era giunti alla decisione di autorizzarle, Axel Weber, governatore della Bundesbank, con il massimo del rumore se ne dissociava apertamente, seguito da Jurgen Stark, membro del direttorio della Bce e suo ventilato successore a Berlino in caso di un trasferimento dello stesso Weber alla testa della stessa Bce.
Da parte interessata, cioè dagli ambienti finanziari angloamericani che sanno dal 1998 che un euro forte e una BCE efficace e pronta a seguire l’evoluzione dei mercati adattando opportunamente i propri strumenti operativi significano una riduzione del ruolo di piazze finanziarie come Londra e New York e del monopolio del dollaro come moneta di riserva di tutto il mondo, ci si è affrettati a far notare come l’inizio del sostegno al mercato dei titoli di stato da parte della Bce vuol dire uno snaturamento della filosofia che ha presieduto alla sua creazione, proprio quando, secondo loro, si profila la possibilità che riparta l‘inflazione. Da parte degli stessi commentatori anglo americani, non si sottolinea di solito che il rischio di inflazione legato alla crescita rapida dei debiti pubblici sostenuti nei loro valori dalle banche centrali, è particolarmente serio per paesi come Gran Bretagna e Stati Uniti, nè si esclude che le proprie rispettive banche centrali debbano continuare a fare ciò che fanno allegramente da decenni, e che la BCE ha appena iniziato a fare, comprare titoli di stato sui mercati per sostenerne il corso, deprimendo i loro tassi di rendimento e quindi il costo di servizio del debito dei rispettivi stati.
E’ peraltro, da molti sintomi, da rilevare un pericoloso aumento di comportamenti schizofrenici, anche da parte di persone e istituzioni finora apparse motivate da elevata razionalità. Le autorità politiche e quelle economiche tedesche, ad esempio, che bene dovrebbero conoscere le condizioni di estrema fragilità in cui versa tuttora il sistema bancario del loro paese, nonostante l’enorme sostegno ad esso dato negli ultimi due anni, e che sono state costrette a proibire le vendite allo scoperto proprio sui titoli delle principali banche, chiaramente sotto attacco speculativo, non si esimono dallo scatenare ogni volta che possono, o peggiorare , la sfiducia dei mercati nei titoli di stato e nella situazione finanziaria dei membri deboli della UME. Ma le loro banche di tali titoli sono piene, e se essi perdono valore capitale, ciò si ripercuote immediatamente sui bilanci delle banche stesse o su quelli delle società di assicurazione che ne hanno, di tali titoli, se possibile anche di più. In modo da rendere necessari altri interventi a salvataggio, forse anche più grandiosi di quelli operati negli ultimi due anni e assicurare che il ruolo di prestatore di ultima istanza della BCE divenga definitivo e permanente.
Sembra che in Germania la crisi finanziaria e quella economica stiano portando ad una profonda crisi degli equilibri politici, ad una ridefinizione di ruoli finora stabili. Un’intera generazione di uomini politici democristiani sta abbandonando il potere. Sono uomini come il presidente della repubblica Koehler, dimissionario, o il presidente di un Land importante come Koch. A queste manifestazioni di dissociazione si aggiungono quelle di Waigel e Schauble, padri insieme a Koehler della Unione monetaria e paladini dell’euro. Ad essi si contrappone Angela Merkel, autrice di strategie finora fallimentari e costosissime per l’Ume e per gli stati che ne fanno parte, oltre che per il suo partito,Axel Weber e Jurgen Stark, delle cui capacità di elaborazione logica cominciamo a dubitare, e i nuovi politici come Guido Westerwelle, nel passato protagonista della edizione tedesca del Grande Fratello e ora alleato imprevedibile , spina nel fianco dei democristiani ragionevoli.

Fonte: Affari e Finanza 7 giugno 2010

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