• domenica , 22 Dicembre 2024

Dopo il colpo della Corte, ho cambiato idea:vado alle primarie e voto Renzi

Ho cambiato idea: andrò a votare alle primarie del PD. Per Matteo Renzi ovviamente. Votare è un atto non razionale – come mi ricorda Piero Ostellino – , si vota solo per esprimere una passione, e se si tratta di primarie ancor di più. A quelle precedenti avevo votato, con pubblico endorsement: rifarlo adesso una seconda volta? Non esageriamo, come diceva Bobbio. Ma poi è arrivata la sentenza della Consulta che ripristina il proporzionale: e mi ha fatto cambiare idea.
Se prima pensavo di starmene a casa, non era per le cose che in Renzi ultimamente non mi erano tanto piaciute: le attribuivo alla necessità di conquistare la segreteria, dissimulazione e doppiezza nel politico sono, a volte, virtù. Ad esempio, attaccare il ministro Cancellieri, chiedendone le dimissioni, quando invece doveva mettere sotto tiro le intercettazioni, mi era parsa una mossa diabolicamente efficace: metteva in difficoltà Letta spendendo il minimo di capitale politico. Dissentire dal votare per la destituzione di Berlusconi, avevo scritto sul Foglio, sarebbe stato un modo per “chiudere con l’antiberlusconismo armato”, tanto più dopo che Luciano Violante aveva accusato la sinistra di aver sottratto i diritti alla difesa al proprio avversario politico: ma, mi dicevo, l’ex presidente della Camera non corre per la segreteria. Dopo l’assist di Eugenio Scalfari di domenica scorsa, in cui il fondatore, ricordando la polemica tra Parri e Croce, sostanzialmente equipara il berlusconismo al fascismo, speravo che Renzi avrebbe sostenuto che no, i due ventenni nulla hanno in comune se non la durata, e che fare del berlusconismo una caratteristica immanente del carattere degli italiani significa perpetuarne i lati peggiori: ma mi rendevo conto che entrare nelle polemiche interne al proprio maggiore sponsor sarebbe stato azzardato.
Anche sui temi più strettamente economici avevo trovato da ridire. Nella riforma del mercato del lavoro, aumentare la flessibilità in uscita si traduce con, se mi si passa la volgarità, “abolizione dell’art. 18”: però capisco che non è il caso di toccar con mano se ci sono ancora i torquemada che toccarono a me or son tre lustri. Quando Gianni Cuperlo gli alza la palla proponendo un’imposta patrimoniale che redistribuisca ricchezze, è un delitto mancare lo smash che può fare game, set and match: evidentemente twittare distrae. E quanto all’euro, è già eloquente non far sfilare le proprie truppe sotto i vessilli dell’europeismo politicamente corretto.
Il fatto è che in me si è ormai radicata in profondità la convinzione che l’Italia sia avviata su un percorso di decadenza economica, di depauperamento culturale, di disgregazione sociale; che l’espressione “salvare questo Paese” non sia più un’enfasi retorica. Non bastano riforme su specifici problemi, è necessario metter mano a cambiamenti radicali nella forma di stato e forma di governo: in essenza due cose sopra tutto, un sistema elettorale che metta in competizione le forze politiche, un’uscita dalla democrazia parlamentare che faccia del governo un organo davvero esecutivo. Seguivo, con il giusto disinteresse, il vagolare in Parlamento della legge di stabilità, il duellare in Europa di orgoglio e pregiudizio. Però vedevo anche come la sola previsione dell’entrata in gioco di un nuovo concorrente molto determinato pareva aver rimesso in moto i meccanismi delle riforme, e suscitato intorno ad esse un embrione di consenso.
E poi è arrivata la sentenza della Consulta: per cui in questo momento il sistema elettorale vigente nel nostro Paese è un proporzionale puro. Altro che concorrenza tra forze politiche, altro che esecutivo con adeguati poteri e adeguatamente protetto da imboscate. Certo il Parlamento sarà libero di approvare con legge ordinaria una legge elettorale e di ridisegnare con legge costituzionale i poteri di Presidente della Repubblica e di Presidente del Consiglio, del Parlamento e del Governo. Con quale probabilità? Perché mentre il sistema proporzionale è uno solo, i sistemi maggioritari sono tanti: il proporzionale così come che ce lo consegna la Consulta è la situazione di minimo di energia potenziale, dunque la più stabile. Una disperante stabilità, per chi condivide il mio giudizio sullo stato in cui si trova il Paese.
Mi pareva allora, mi pare adesso, che solo Renzi faccia aumentare la probabilità che si realizzino i cambiamenti necessari per “salvare il Paese”. Ma se prima della sentenza si poteva pensare che sarebbe bastato il suo ingresso nel gioco politico nazionale per far maturare quell’embrione di consenso, adesso sarà necessaria una quantità enormemente maggiore di energia politica per coagulare interessi, per contrapporre visioni. La tentazione di scendere a compromessi sedurrà con l’aspetto del buon senso, col realismo del meno peggio. Per questo ho cambiato idea: mettere nell’urna la scheda con il suo nome sarà il modo di apportare il mio “quanto” di energia.

Fonte: Il Foglio del 7 dicembre 2013

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