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Disonestà endemica

Il marcio non è solo in Danimarca ammetterebbe oggi Amleto, così come il demonio non è solo Berlusconi. Ciò che sta impressionando gli stranieri è che la disonestà in Italia sia divenuta così popolare e che il putridume sia così generalizzato. Non passa giorno senza un nuovo scandalo di disonestà endemica: scandalo per l’avvocatura, scandalo per i concorsi scolastici, scandalo per i conflitti d’interesse, scandalo per gli imbrogli sugli infortuni automobilistici, scandalo per le abusività edilizie ecc. Eppure gli stranieri dovevano saperlo quando denunciavamo – oggi si tace a questo riguardo – dei sei milioni di pensioni d’invalidità di cui 5 fasulli ed i 5 milioni di lavoratori in nero. Non c’è più religione, si diceva già dopo la prima grande guerra. Nella seconda metà del secolo scorso la triade “Dio, Patria, Famiglia” andò presto in soffitta, anche ad opera della liberazione della donna, della rivoluzione sessantottina, del Concilio Vaticano II e dell’autunno caldo che partorì lo Statuto dei Lavoratori. Vennero così a mancare al loro compito i tradizionali educatori. I preti si sono rarefatti, le madri hanno affollato fabbriche ed uffici, i maestri di scuola demotivati guardano solo alla paga del 27. Da allora, la nostra gioventù è stata soprattutto educata dai sindacati, dalla televisione e dalla strada. Materialismo ed edonismo esaltano l’invidia, l’omertà e l’imbroglio per strappare vantaggi. Alle cause generalmente indicate, purtroppo, si va accoppiando di recente un sistema statalista diseducativo che induce tutti alla frode. Non solo per le aliquote fiscali esose, non solo per le esenzioni e detrazioni ottenibili con autocertificazione, ma soprattutto per le trovate degli apprendisti stregoni prelettorali. Non sono bastate le pensioni alle casalinghe. Oggi si assegnano indennità alle madri emigrate e si cerca di varare l’assicurazione infortuni familiari. Medici compiacenti o minacciati si incaricheranno, come per le pensioni d’invalidità, di legittimare ogni imbroglio e mandare subito in deficit il sistema.

Fonte: scritto per il Club dell'Economia (3 agosto 2000)

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