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Disastro,no ripresina,anzi crescita. Le troppe versioni di Confindustria

“Giungemmo al fine. O sacro araldo squilla”. Quando Alessandro Magno nella poesia di Giovanni Pascoli pronuncia queste parole, alle sue spalle stanno tutte le terre conquistate dalle sue vittorie. Tutte le terre allora conosciute: tranne la luna che in quell’istante sfavilla sullo scudo dei suoi soldati.
Tuttavia, nel presentare, l’11 settembre scorso, il 18° Rapporto “Scenari economici” del CSC (Centro Studi della Confindustria), il direttore Luca Paolazzi ha voluto ripercorrere a ritroso gli “anni difficili” che ci hanno portato fino a qui, ma con la prudenza necessaria che si deve ad una crisi che ha la stessa durata di un piano quinquennale d’altri tempi e che ha subito, nel corso di questo arco temporale, diverse mutazioni fino ad allora sconosciute. Nel contempo, però, ha ritenuto che fosse arrivato il momento per dare l’annuncio: in giro, nell’economia, soffia aria. “L’incertezza rimane perciò grande… Tuttavia, in quegli stessi paesi il movimento nella direzione desiderabile – è il cuore del Rapporto – non solo è iniziato ma si sta rivelando più robusto dell’atteso. I sintomi di recupero dell’economia reale, infatti, sono diventati più solidi e frequenti. Anche in Italia… Le timide indicazioni di ripresa – continua – rilevate nel corso della primavera, infatti, hanno trovato sempre più fitte e concordanti conferme, interne al Paese e internazionali”. Il che comporta una revisione al rialzo delle stime del CSC. Di seguito il Rapporto aggiunge: “All’interno del Paese la fiducia tra le famiglie e tra le imprese di quasi tutti i settori ha registrato significativi incrementi. I giudizi nel manifatturiero sugli ordini (principalmente dall’estero) sono ai massimi dall’ottobre 2011 e le attese dei consumatori sul loro bilancio dall’agosto dello stesso anno. Il PMI manifatturiero è stato il luglio ed agosto in zona espansiva, non accadeva da due anni”.
Va da sé che queste considerazioni sono diluite, nel Rapporto, da frequenti inviti alla cautela e corredate dall’indicazione dei rischi gravissimi che ancora sono insiti nel quadro politico ed economico, i cui parametri, da noi, restano negativi sia pure lungo un percorso di miglioramento. La Confindustria non si concede certo ad un facile trionfalismo, ma le parole sono pietre anche quando sono dette a mezza voce. Ma se questa è l’analisi che la Confindustria compie in casa propria che cosa “c’azzecca” (direbbe un insigne statista incompreso, anche perché era difficile seguirlo mentre parlava) il documento “fregnone” del 2 settembre scorso costruito su di un’analisi dei processi economici molto più arretrata e rozza di quella contenuta nel Rapporto del CSC? Peraltro, fu proprio Giorgio Squinzi ad illustrarne i contenuti a Genova, alla Festa nazionale del Pd.
Già, Giorgio Squinzi, lo stesso che lo scorso 25 marzo (non è poi passato un secolo da allora!) affermava che l’ossigeno per le imprese era ormai in via d’esaurimento, evocava come vicina la fine del sistema produttivo e denunciava il dramma della disoccupazione. E a che cosa si deve questa “svolta” tuttora fragile ed incerta? Alle politiche del governo Letta? Ma non scherziamo. Vale anche per i governi il precetto del “primum vivere deinde philosophari“. Così, al dunque, sono ancora – nel bene come nel male – le riforme realizzate ed impostate dal governo Monti nel solco di quella politica di rigore che tanto è stata criticata persino da Confindustria, ad aver rasserenato il clima ed incamminato l’Italia sulla prospettiva che lascia intravedere la fine del tunnel. Ovviamente a fronte di un nuovo ciclo a livello internazionale perché nessuno può salvarsi da solo. Tutto ciò sperando che sull’ultimo miglio non ci frani addosso il contesto politico.
La cosa più divertente però è un’altra. Che cosa faranno adesso i conduttori, i comici e le redazioni dei talk show che per anni hanno prosperato, con poca fantasia e molta irresponsabilità sulle difficoltà delle famiglie italiane nella crisi? Questi esempi di televisione faziosa ed urlata – non vi è differenza tra i diversi canali televisivi, perché si salvano solo “Porta a Porta” e, in sedicesimo, “Virus” – non hanno fatto informazione; si sono limitati a fare cagnara, a seminare astio, odio ed invidia sociale, a sparare sulla Croce Rossa, senza proporre mai alcuna soluzione credibile. Nel mondo produttivo, quando un prodotto esce dal mercato, la linea si riconverte o, se non è possibile per tanti motivi, i lavoratori addetti diventano esuberi a carico degli ammortizzatori sociali.
Come sarebbe bello vedere questi anchorman “de noantri” e queste virago a promuovere una marca di carta igienica su un circuito di provincia. In fondo continuerebbero a fare il mestiere di sempre.

Fonte: Formiche.net del 12 settembre 2013

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