• sabato , 23 Novembre 2024

Dieci saggi che devono spicciarsi

Pochi sogni e tanto realismo nell’agenda dei tecnici ad interim.
I dieci saggi s’insediano oggi e avranno meno di due settimane per presentare al presidente della Repubblica le loro proposte (il 15 comincia la scelta del nuovo capo dello stato). S’è detto che saranno linee guida per il prossimo governo, insediato a questo punto dal futuro inquilino del Quirinale. Giorgio Napolitano ha precisato ieri che l’iniziativa avrà “un carattere informale e un fine puramente ricognitivo”. Non un libro dei sogni, piuttosto indicazioni precise su alcuni punti chiave, come la riforma del sistema elettorale o i mezzi per sbloccare una società paralizzata perché impaurita. Al côté istituzionale si dedicano i quattro “politici”, cioè il costituzionalista Valerio Onida, Gaetano Quagliariello (Pdl), Luciano Violante (Pd), Mario Mauro (montiano). Il resto spetta agli altri sei esperti. In base alle personalità scelte, al loro ruolo e alle posizioni che hanno espresso pubblicamente, si può già capire quali saranno i capitoli dell’agenda: sostegno al reddito e alla domanda, tema caro a Enrico Giovannini, presidente dell’Istat; liberalizzazioni, cavallo di battaglia di Giovanni Pitruzzella, presidente dell’Antitrust; rilancio dell’industria e dell’economia reale, tasto sul quale batte da tempo Salvatore Rossi, vicedirettore generale della Banca d’Italia; rapporto con l’Unione europea affidato a Enzo Moavero Milanesi, ministro ancora in carica del governo Monti. Giancarlo Giorgetti (Lega) e Filippo Bubbico (Pd) faranno da trait d’union con il Parlamento dove guidano le due commissioni speciali istituite dalle due Camere.Napolitano non s’è rivolto ai professori, tanto meno bocconiani. Il presidente ha guardato a figure che svolgono un ruolo istituzionale pubblico, alle “agenzie” chiave che macinano ed elaborano dati veri, non schemi teorici astratti. A cominciare da Giovannini, statistico innovativo, tra i pionieri dei nuovi indicatori del prodotto lordo, che ha appena presentato insieme al Cnel (Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro) il primo rapporto sul Benessere equo e sostenibile (temi cari al Movimento 5 stelle non rappresentato da nessuno dei dieci esperti). Il presidente dell’Istat ha confermato, cifre alla mano, che gli italiani hanno cominciato, fin dal 2010, a erodere risparmio e patrimoni per compensare la caduta dei redditi e del potere d’acquisto. Un fenomeno che si presenta per la prima volta dal Dopoguerra e testimonia la gravità della crisi.Dunque, si tratta di capire come sostenere il tenore di vita attraverso un aumento della domanda interna senza entrare in contraddizione con il risanamento dei conti pubblici e il percorso indicato dal Fiscal compact (a cominciare dal pareggio del bilancio pubblico). Nessuno dei prescelti è un keynesiano d’antan, tanto meno un euroscettico. Tutti accettano il quadro di compatibilità europee. Ma anche all’interno di quel perimetro le cose da fare sono molte. Pitruzzella, all’Antitrust dal novembre 2011, ha esordito comminando sanzioni pesanti ai pezzi grossi dell’industria e dei servizi; ma adesso il professore dovrà presentare una proposta complessiva sull’intricata matassa dei conflitti d’interesse. Secondo Salvatore Rossi, “i due campi in cui l’Italia deve attuare le riforme più profonde sono l’organizzazione del lavoro e l’assetto giuridico-istituzionale. In altre parole, il ruolo anacronistico del sindacato e la distanza del diritto dai problemi prioritari della società”. L’economista lo ha scritto già alcuni anni fa nel suo libro “Controtempo”. L’Italia resta il paese nel quale la sindacalizzazione è tra le più alte, ma anche quello in cui la quota del lavoro sul valore aggiunto è scesa addirittura sotto la quota di trent’anni fa. E’ la fotografia di un fallimento dovuto soprattutto ai limiti ideologici e culturali di un sindacalismo che deve “fare i conti con la propria storia, celebrarla come merita e poi superarla”. Rossi se la prende anche con gli imprenditori che si sono rifugiati sotto l’ombrello della rendita e punta sulle proposte per sostenere la trasformazione delle imprese esportatrici e sull’avvio di una radicale trasformazione dei servizi.
Lui come gli altri esperti dovranno tener conto che si muovono in un gioco cooperativo, un limite alla loro libertà propositiva. Ma la scelta di Napolitano non è quella di stupire con idee speciali, bensì di gettare le basi per un futuro consenso. Su misure a breve – come il pagamento dei debiti della Pa alle imprese e la copertura di altri esodati –, e soprattutto su impegni improrogabili, come la stesura del Programma nazionale di riforma che l’Unione europea dovrà ricevere entro la fine del mese.

Fonte: Il Foglio del 2 aprile 2013

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