• giovedì , 21 Novembre 2024

Diabolica Fed non impari mai

Per combattere il pericolo di deflazione presente nella economia americana dopo l’esplosione della crisi finanziaria la Federal Reserve ha fatto con molta decisione ricorso a un programma di acquisti diretti sul mercato di buoni del Tesoro ed altra carta finanziaria a lungo termine. La Fed spera così di influenzare direttamente i tassi a lungo nell’ipotesi che siano quelli che influiscono sugli investimenti.
Avrebbero influenza, i tassi a lungo, anche sulle accensioni di mutui immobiliari e sul credito al consumo. Dopo la conclusione del primo programma di acquisti, a partire dall’agosto di quest’anno Bernanke e i suoi collaboratori principali, primo fra tutti il presidente della Fed di New York, Dudley, hanno ripetutamente adombrato la possibilità di una imminente ripresa del programma chiamato subito dalla stampa QE2, che è stato il nome di un famoso transatlantico inglese, battezzato per ricordare la presente regina Elisabetta seconda. Le dichiarazioni di Bernanke e del suo entourage avevano lo scopo immediato di agire sulla formazione delle aspettative dei mercati finanziari e di quello dei cambi.
Le principali variabili espresse da questi mercati si sono in effetti, a partire da agosto, mosse nella direzione desiderata dal capo della Fed. Il tasso sui Treasury bill è sceso, l’indice di borsa SP 500 è salito di oltre il 10%, il cambio del dollaro ha perso il 5%. Un effetto non proprio positivo è stato l’aumento da 70 a oltre 80 dollari del prezzo del petrolio, e il ritorno in grande stile della speculazione sui mercati delle materie prime e dei prodotti agricoli. Come è noto, non ci sono stati effetti sul tasso di disoccupazione e la crescita del Pil ha registrato solo un lieve aumento. Si prevede che tali effetti reali possano crescere nel corso del 2011 e 2012, ma non hanno aiutato i democratici a contenere la valanga di perdite nelle elezioni di metà mandato. Quando l’annuncio della ripresa del programma QE2 ha avuto luogo, la settimana scorsa, si può dire che quello della campagna di comunicazione, partito ad agosto, si era del tutto consumato sulle variabili finanziarie ” ad alta frequenza”.
Sui mercati finanziari invece continua, portando a nuovi ribassi il dollaro e a livelli ancor più alti le quotazioni di petrolio e materie prime. Come giudicare le mosse più recenti della politica monetaria di Bernanke? Chiaro è l’obiettivo di far risalire la Borsa, ed è riuscito. Ci sono poche eccezioni alla opinione secondo cui in occasione di elezioni politiche il partito di governo ha poche chance di confermarsi al potere in presenza di una Borsa cedente. Le pensioni della maggior parte degli americani sono direttamente legate alle quotazioni azionarie e tutti gli americani lo sanno bene. Probabilmente, senza il ritorno di fiamma in borsa sapientemente orchestrato da Bernanke il partito democratico avrebbe perso anche la maggioranza al Senato, che ha fortunosamente mantenuto. Anche il ribasso del dollaro è un effetto desiderato della manovra monetaria. Il governo Usa sta apertamente conducendo una campagna contro la politica dello yuan basso perseguita dal governo cinese. Quanto successo potrà avere un governo democraticamente responsabile ai suoi elettori contro le decisioni di una leadership autoritaria, anche se in qualche misura pluralista, come quella cinese, resta da vedere. Quel che sappiamo è che il governo cinese possiede riserve in dollari immense e resta saldamente padrone dei propri mercati finanziari, avendo finora resistito ai tentativi americani di convincerlo ad abolire i controlli su di essi.
Ma l’elemento più critico, in questo duro confronto tra Usa e Cina, è la necessità americana, che i cinesi perfettamente conoscono, di finanziare con prestiti esteri il deficit pubblico che è esploso negli ultimi due anni e che si prevede continuerà a crescere nel futuro. Con i soldi di chi, se si escludono i cinesi, il governo americano pensa di chiudere i propri conti pubblici, non è dato di sapere. E i cinesi sono disposti a continuare a svolgere il proprio ruolo, ma solo se il governo americano e il Congresso non accentueranno la campagna per la rivalutazione dello yuan. All‘ultima riunione dei ministri e governatori del G20 in Corea, gli Stati Uniti hanno potuto constatare quanto la loro politica monetaria non convenzionale stia inimicando loro anche il resto dei paesi che contano, per la rivalutazione alla quale costringe le loro monete, e la inflazione che minaccia di accendere nelle economie di quegli stessi paesi.
Un segnale importante è poi venuto dalle decisioni della banca centrale di Israele, un paese piccolo ma rilevante per la statura di economista del suo governatore, Stanley Fischer, uno dei più eminenti esponenti della Facoltà di Economia dell’MIT ed ex vice direttore generale del Fmi oltre che in passato esponente importante di Citibank. Nella imminenza della crisi asiatica del 1997, Fischer era stato autore di un vigoroso tentativo, da parte del FMI, di convincere i paesi membri di quella istituzione a inserire nel suo statuto la liberalizzazione delle transazioni in conto capitale, abolendo in tal modo qualsiasi controllo sulla circolazione internazionale dei capitali.
In tale tentativo egli era autorevolmente spalleggiato dal suo capo, Michel Camdessus e dal suo collega ed amico Lawrence Summers, allora ministro del Tesoro degli Stati Uniti. Si sarebbe trattato di un cambiamento epocale perchè il diritto degli stati membri di controllare conto capitale era stato uno dei pilastri del trattato di Bretton Woods. Nei fatti il tentativo di Fischer e soci fallì e gli stessi autori di esso, dopo la rovinosa crisi asiatica, si dettero ad aperti e franchi mea culpa. Fischer, divenuto governatore della Banca centrale israeliana, è andato oltre: egli ha iniziato, a partire dall’inizio della caduta del dollaro, a contrastare decisamente la rivalutazione del tasso di cambio dello sheckel, la moneta nazionale israeliana. Fischer ha apertamente giustificato le sue azioni sui cambi con la necessità di mantenere la competitività delle esportazioni israeliane, specie di quelle di prodotti ad alta tecnologia, nei quali si è specializzata in particolare quella parte del popolo di Israele immigrata nel paese dopo lo sfascio dell’Unione Sovietica. I tecnologi russi hanno letteralmente costruito la industria hitech della loro nuova patria, usando le tecnologie apprese in quella d’origine.
In aggiunta, è sempre Fischer a dichiararlo, egli persiste nella sua politica di manipolazione dei cambi, che tanto deprecò in passato e che gli Stati Uniti ritengono oltremodo dannosa anche oggi, perchè Israele sta divenendo un grande esportatore di energia per la recente scoperta e imminente coltivazione di immensi giacimenti di gas naturale, pari a due volte le riserve di gas della Gran Bretagna. Fischer ha nei giorni scorsi dichiarato di temere per il suo paese la “sindrome olandese”, un aumento elevato del cambio dello scheckel per le esportazioni massicce di gas che si verificheranno tra breve e che metteranno, come accadde in Olanda per lo stesso motivo qualche decennio fa, le esportazioni industriali israeliane fuori mercato. Quel che Fischer fa apertamente gli Stati Uniti lo rinfacciano ai cinesi. E’ chiaramente un caso di quantità che diviene qualità perchè Israele è una pulce e la Cina un elefante. Ma il principio è lo stesso e l’esempio di Fischer sarà imitato dai paesi emergenti, in Asia e America latina, (ma anche la Turchia è un caso importante), nei quali la discesa del dollaro fa salire i tassi di cambio e la valanga di dollari che la politica monetaria americana mette a disposizione della speculazione impedisce alle autorità economiche di contrastare le spinte inflattive con una politica monetaria restrittiva, come sarebbe necessario per via della crescita impetuosa del PIL in quei paesi. Quel che colpisce nella politica monetaria americana è la patente indisponibilità a imparare dai fallimenti del passato. Bernanke sta, per aperte ragioni di opportunità politica, ridando fuoco ai mercati dei beni patrimoniali, nella speranza che dalla borsa e dalle materie prime i rialzi infine si trasmettano anche al mercato edilizio e facciano sentire di nuovo ricchi gli americani medi, il cui patrimonio sono la pensione futura, legata ai corsi di Wall Street e la casa di proprietà. Ma è stata proprio questa politica, condotta nel ventennio di Greenspan e proseguita nel quinquennio di Bernanke, ad aver portato al disastro prima la finanza e poi l’intera economia mondiale. Perseverare diabolicum, Prof. Bernanke. Non lo dimentichi. E non lo dimentichino nemmeno Obama e i suoi ministri e consiglieri economici. Il 2008 è alle porte.

Fonte: Affari e Finanza 8 novembre 2010

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