In questi giorni si discute molto su parole un tempo riservate agli economisti. Se ci capite poco, non preoccupatevi: anche loro vanno a tentoni. Proviamo dunque ad aiutare chi non se sa nulla e chi fa finta di sapere tutto.
Mai stati così vicini all’Armageddon. Mai come adesso, arrivati a un passo dal distruggere i sessant’anni di benessere costruito dal Dopoguerra nel continente. L’Italia – il più grande dei Pigs, il più pericoloso tra i paesi più fragili e vulnerabili dell’Eurozona – è il birillo che cadendo può travolgere con sé anche gli altri, in uno strike epocale. Un assaggio di quello che potrebbe accadere lo si è visto martedì primo novembre. Dopo una serie di giornate nere ai danni dei titoli di Stato italiani (con i tassi schizzati oltre il 6 per cento, spread con i titoli tedeschi ai massimi, Borsa a picco) i mercati hanno recapitato il primo brutale avviso alle banche francesi – piene di titoli sovrani italiani – facendole vacillare sotto un’ondata di vendite. “Se l’Italia cade è un dramma per tutti”, avverte Paul De Grauwe, economista dell’Università di Lovanio e consigliere del presidente della Ue Josè Barroso. Altro che euro a due velocità, uno per i paesi forti e un altro per gli ultimi della classe, ricetta che sembrava possibile ancora qualche mese fa: ormai sono troppo interconnesse le economie, con crediti e partecipazioni finanziarie che legano i forti ai deboli in un abbraccio che in alcuni casi raggiunge il 60 per cento del loro Pil (è il caso della Francia, secondo il recentissimo “Rapporto sulla stabilità finanziaria” della Banca d’Italia), per sperare di evitare il contagio. Tutti nella stessa barca, dunque. Ma è il passeggero italiano a essere malvisto: “Nei circoli di Bruxelles nessuno crede che le riforme promesse dal governo Berlusconi si realizzino nei tempi previsti”, dice Sandro Gozi, capogruppo Pd nella commissione Politiche europee della Camera. “Berlusconi può davvero sperare di avere un posto nella storia: ora la sopravvivenza dell’euro dipende da lui”, ironizza Giangiacomo Nardozzi, professore alla Bocconi. “Soluzioni?”, ragiona l’economista Innocenzo Cipolletta: “L’Italia ha due alternative: o il default, uscendo dall’euro e svalutando la moneta, ma sarebbe un’operazione da disperati; o far cadere Berlusconi, che non ha più alcuna reputazione, e sostituirlo con un governo di salute pubblica”.
Comunque sia, è verso un Sos che stiamo andando. “Lo Stato deve riconquistare la fiducia dei suoi risparmiatori e di quelli internazionali: la fiducia si perde facilmente e si riacquista con mille sacrifici.
E questa inversione non si vede”, afferma Daniel Gros, direttore del Ceps. Ma è ancora possibile per l’Italia scongiurare un destino simile a quello greco, con un governo espropriato della sua sovranità, e una cura lacrime e sangue per noi cittadini? Ecco una guida per attrezzarsi a capire la crisi che ci pende sul capo.
Default
E’ l’incubo più cupo per i risparmiatori, il tabù più inviolabile per la sovranità di un paese. Vuol dire ridurre con un tratto di penna il debito, non onorare la parola data ai propri creditori, ripagarli meno, più in là o forse mai. Possibile da noi? Tutti dicono di no: siamo too big to fail, troppo grandi per fallire (eppure l’Ocse ne dubita). Ma in Grecia, dopo mesi di dinieghi, si è approdati al “default pilotato”, in cui i grandi investitori istituzionali – banche in prima fila – devono “volontariamente” rinunciare al 50 per cento dei loro crediti nei confronti dello Stato; i titoli dei cittadini non verranno toccati. L’effetto sarà di rendere più fragili le suddette banche, che dovranno dotarsi di nuovo capitale per 100 miliardi, in gran parte a spese dei contribuenti. “Non sarebbe stato più facile dare direttamente questi soldi alla Grecia?”, ragiona Cipolletta. Di fatto, il tabù del default è stato abbattuto.
Debito pubblico
Con quasi 2 mila miliardi il nostro debito pubblico (il più alto dei 27 membri dell’Unione europea) è pari al 120 per cento del Pil. Va rinnovato con una sequenza incalzante, man mano che scadono Bot, Cct e Btp: l’accoglienza sul mercato di questo titolo, soprattutto il decennale, è il segnale più importante della nostra affidabilità. Ora i nostri titoli sono guardati con sospetto, soprattutto all’estero, che detiene il 42 per cento del debito italiano; molti se ne liberano, e chi ci ha speculato, come la banca d’investimenti americana Mf global, ha appena fatto bancarotta. Per allentare la morsa sul debito, è scesa in campo la Bce, che acquista i titoli e li rivende quando il peggio è passato.
Per piazzare il Btp a dieci anni la Repubblica italiana ha dovuto garantire un rendimento superiore al 6 per cento, ai massimi dall’introduzione dell’euro. Secondo il Rapporto sulla stabilità finanziaria di Bankitalia, i mercati hanno inflitto una penalizzazione eccessiva rispetto alla reale solidità del paese. Fatto sta che ci troviamo a un passo da quel limite psicologico del 7 che per Grecia, Irlanda e Portogallo ha fatto scattare l’intervento del Fondo salva Stati. Quel tasso si traduce in un salasso che scava nelle vene di tutti: da agosto, la spesa per il debito è rincarata di 2 miliardi e di questo passo potrebbe arrivare al traguardo dei 100 miliardi l’anno. “E’ chiaro che se gli interessi salgono la nostra manovra di aggiustamento per ridurre il deficit sarà vanificata”, si allarma Alberto Quadrio Curzio, economista alla Cattolica di Milano.
Spread
Misura la nostra affidabilità rispetto a quella del partner tedesco: se è basso, siamo virtuosi, se lo spread si allarga vuol dire che gli investitori fuggono, anzi volano verso titoli di migliore qualità. Ora lo spread viaggia sopra i 400 punti (ha toccato i 455 martedì 1 novembre), ma anche per effetto del calo dei rendimenti tedeschi, passati dal 3 al 2 per cento.
Fondo salvastati
Con i suoi 440 miliardi per metà già impegnati in Grecia, Portogallo e Irlanda, l’Esfs (il fondo nato per proteggere gli stati “periferici” dell’euro) sulla carta non ha le munizioni necessarie per difendere il debito italiano (tra Italia e Spagna, calcola “The Economist”, nei prossimi tre anni si dovranno rifinanziare bond per 3 mila miliardi). Come fare allora per aumentare il suo raggio di azione fino a mille miliardi? La soluzione potrebbe essere quella di usarlo per garantire fino al 20 per cento di perdite sui titoli di Stato. Oppure si potrebbero creare degli Special Purpose Vehicle per attirare denaro dai fondi sovrani di Cina, India, Giappone, o magari dal Brasile. Ma all’amo del direttore del Fondo, Klaus Regling, non ha ancora abboccato nessuno.
Lettera d’intenti
Nell’epoca delle email, il gran ritorno delle lettere, come ai tempi di Cavour: in agosto la Bce firma con la Banca d’Italia una prima missiva al governo italiano chiedendogli di agire. Tagli dei costi della politica, liberalizzazioni, privatizzazioni. Il governo cosa fa? Annacqua tutto e ne perde metà per strada. Ora l’Europa ha imposto a Berlusconi una lettera più impegnativa, con un elenco di misure e soprattutto scadenze precise. “Ridicola lenzuolata di impegni”, critica Quadrio Curzio: “ne bastavano pochi e netti: l’allungamento dell’età pensionabile da subito, il recupero dei fondi per il Mezzogiono con il taglio dei costi dellapolitica; infine, puntare sulle privatizzazioni delle municipalizzate”. “La cosa da non fare, invece”, bacchetta Cipolletta, “è parlare di licenziamenti, parola mai scritta nei documenti della Ue”. Puro masochismo, come le battute del cavaliere sull’euro, definito una “valuta strana”.
Risparmi
Si prosciugano, come ha certificato da poco l’ultimo Rapporto Acri che dà conto della capacità degli italiani di mettere da parte. Bisogna attingere ai tesoretti per la normale amministrazione, per difendere il tenore di vita, per sostenere i figli che non lavorano. D’altra parte, il reddito disponibile delle famiglie diminuisce da cinque anni.
Depositi
La parola d’ordine è: tenersi liquidi. Vanno forte i conti di deposito, tipo Ing e Che banca. Sempre che non spunti qualche prelievo straordinario modello “Amato 1992”. Così tornano di moda le cassette di sicurezza per chi non si fida proprio di nessuno.
Borsa
I crolli dei listini hanno bruciato montagne di denaro: meno 19 per cento la caduta dell’indice da luglio a metà ottobre. Le vendite degli ultimi giorni peggiorano la frana. Chi ha puntato sulle banche si lecca le ferite e ha scarse possiblità di recupero immediato; chi ha scelto le utility se l’è cavata meglio. Di questi tempi, la Borsa è un luogo per chi ha i nervi saldi e non attende ritorni immediati.
Bond
Per finanziarsi le imprese italiane devono offrire più di quelle tedesche e francesi. Pagano il rischio-paese: l’Enel a metà ottobre ha dovuto promettere agli investitori un rendimento del 5,8 per cento, mentre la tedesca Eon viaggiava sul 3,2 e la francese Veolia sul 4,3.
Casa e mutui
Nel terzo trimestre di quest’anno, secondo la Banca d’Italia, le banche hanno reso più costosi i prestiti alle famiglie e più rigidi i criteri di affidamento. In un sondaggio compiuto da via Nazionale tra gli agenti immobiliari, si registrano tempi più lunghi di vendita, prezzi in diminuzione, e molto pessimismo: in settembre 43 agenti su cento si aspettavano un peggioramento, pochi mesi prima a pensarla così erano solo in 34.
Credit crunch
E’ il primo campanello d’allarme per l’economia: le banche nicchiano a prestare il denaro, imprese e famiglie restano senza sostegno per i loro investimenti. Rivela che le banche fanno fatica a finanziarsi sul mercato, che le loro sofferenze sono in aumento, e che sono più selettive a concedere credito. Ora la situazione minaccia di peggiorare ulteriormente. Al sistema bancario è stato chiesto di rafforzare il proprio patrimonio in relazione agli impieghi (vedi tabella a pagina 48) entro il prossimo giugno: il diktat ai banchieri non piace perché vedono in pericolo gli assetti proprietari e annusano il rischio di un intervento dello Stato. Ma anche perché la ricapitalizzazione deve avvenire dopo aver ricalcolato ai valori di mercato i titoli del debito sovrano in loro possesso: i bondi italiani saranno svalutati, quelli tedeschi e inglesi no; il peso maggiore della ricerca di nuovo capitale sarà quindi su italiani e spagnoli.
Mercati
Saranno i mercati a disarcionare Berlusconi? Saranno le forze del capitalismo – magari impersonate dagli interessi nazionalistici del direttorio Germania-Francia – a dettare il nostro destino? “No, i mercati li puoi spiazzare, basta essere decisi”, dice Nardozzi. Alla Spagna, che pure ha un disavanzo peggiore del nostro, hanno dato fiducia, tant’è vero che lo spread sui titoli tedeschi è inferiore; hanno premiato l’Irlanda (accordando tassi tra il 5 e il 6 per cento) quando in sella è arrivato un governo in grado di decidere. “Keep the data”:i mercati vogliono impegni, non veder versare acqua in una tinozza bucata.
Crescita
I mercati adorano anche la crescita. Ma da noi non c’è: “Siamo destinati ad andare in recessione nel 2012 e anche nel 2013”, prevede Nardozzi. “D’altra parte Tremonti ha puntato a tenere i conti sotto controllo, ma ridurre la spesa danneggia la crescita”, conclude. Risultato, economia esangue, disoccupazione in crescita (spaventosa quella giovanile: 29 per cento), inflazione in aumento (al 3,4).
Tasse
Qual è la mossa del cavallo che potrebbe ridare l’onore all’Italia? Le riforme, certo, a cominciare da quella sulle pensioni di anzianità. Ma sarà difficile evitare nuove tasse: forse non la patrimoniale – che spaventa i mercati – ma nuove imposte sulla casa.
Euro
Può cadere l’euro, o magari trasformarsi in valuta solo del Nordeuropa? “Un”euroReich” si rivaluterebbe rispetto al dollaro, ma allora diventerebbe difficile vendere le Mercedes”, dice Marco Onado, professore alla Bocconi. Viceversa, “l’Italia fuori dall’euro potrebbe esportare di più, ma sarebbe travolta dall’inflazione e da tassi alle stelle che renderebbero ancora più critico il problema debito”, chiarisce Cipolletta. Una prospettiva che non sembra spaventare la Grecia: se il referendum sui sacrifici imposti dall’Europa dovesse bocciarli, non ci sarebbe che il ritorno alla dracma.
ha collaborato Alberto D’Argenzio
Default, spread, bond: la guida
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