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Deberlusconizziamoci dall’antiberlusconismo

Venerdì 10 Settembre, su Radio 3, parlando dal Festival della letteratura di Mantova, Gustavo Zagrebelsky affermava: “Il Gruppo Mondadori ha potuto avvalersi di una legge che consentiva, semplifico, di sottrarsi a un obbligo tributario di diversi milioni di euro pagando una cifra irrisoria.” Non è vero: la legge ha evitato il rischio per Mondadori, che aveva vinto i giudizi di primo e secondo grado, di essere condannata in Cassazione a pagare quella ingente somma.
Un presidente emerito della Corte costituzionale forse può ignorare che dal 1996 il giudizio di legittimità, anche in sede tributaria, fu devoluto alla Corte suprema, con il che migliaia di aziende attendono la definizione di contenziosi vecchi un paio di decenni. L’ha ignorato anche Repubblica nell’articolo che ha originato il tormentone etico – editoriale estivo. Ma un magistrato non può “semplificare“ eliminando la differenza tra obbligo e rischio, tra condanna e giudizio. Farlo, è affermare il falso.
Sabato 11 Giovanni Valentini, su Repubblica, scrive che esiste il concreto pericolo che Berlusconi possa comperare il Corriere. Un’eventualità che se non fosse, con l’attuale sindacato di controllo, surreale in radice, troverebbe poi la strada sbarrata da una serie di ostacoli non solo antitrust che appaiono insuperabili.
A Milano si discute chi mandare alle primarie, quando è chiaro come il sole che il PD non riuscirà mai a mandare il proprio candidato a Palazzo Marino, e che quindi quelle candidature sono di pura immagine. Ma quale immagine, se candidiamo un intransigente guardiano di una Costituzione, che dovremmo voler cambiare, o un architetto, mentre quello che manca a Milano è il committente.
Perché usare argomenti falsi o impropri? Perché, dichiararsi disponibili in Parlamento a ogni ammucchiata pur di abbattere Berlusconi, e non lavorare concretamente per sconfiggerlo nella sua Milano?
Veltroni aveva scritto che l’immagine del PD è di un partito senza bussola strategica ha cassato. E noi, di LibertàEguale: abbiamo noi una bussola strategica? E’ una prospettiva essere i miglioristi di Vendola? Me lo chiedo con amarezza, ricordando che sono tra coloro che hanno fondato questa associazione. Ed è con un senso di frustrazione che sento riproporre cose che ho dette e scritte tante volte.
Veltroni ha poi cassato quella frase, nell’edizione definitiva. Ma il partito è davvero senza bussola strategica. E lo è perché ha paura di perdersi se perde i suoi punti di riferimento. Cioè le identità, le storie, gli insediamenti, magari gli assessori. Ma quelle cose o non ci sono più, o è meglio rischiare di perderle piuttosto che farsi condizionare. A che ci serve dire cose false, indicare minacce inesistenti, candidare inutilmente degne persone a Milano solo per raccontarci che la ragione, la virtù, la competenza, la “bella politica” sono dalla nostra parte?
Quella presunzione è la nostra bussola rotta. Le idee che tengono insieme il variegato popolo che convenzionalmente chiamiamo di sinistra, sono quelle cresciute nella serra dell’antiberlusconismo: caduto Berlusconi saranno inutilizzabili. Come farà il popolo che si crede progressista quando non avrà più le leggi ad personam, non temerà più che Berlusconi comperi il Corriere, non proverà il brivido di un possibile regime? Come gli diremo che il riequilibrio di poteri con l’ordine giudiziario è un problema la cui soluzione non può essere più rinviato? E con la riforma della Costituzione, come faremo? E con il diritto del lavoro, con le Pomigliano, ripeteremo che così si portano i livelli di paga degli operai italiani alla pari con quelli della Serbia o magari della Cina? E con la scuola, come faremo quando non ci sarà più la Gelmini con cui prendersela? E con il Mezzogiorno? E con il fisco?
Chi glielo racconta, ai popoli di sinistra, che abbiamo interrato i carri armati dentro la sabbia, che gli abbiamo fatto fare una guerra di posizione, ma che ora la guerra è finita, e vince chi salta fuori per primo dalla torretta e attraversa quelle che sono state le linee nemiche e ridefinisce i confini? Non li sposta, ma li ridefinisce. Nella ritrovata libertà di muoversi.
Il punto di riferimento ha un nome: si chiama deberlusconizzazione del Paese. Che non significa liberarsi delle leggi ad personam, dell’occupazione dei TG, degli uomini e delle donne del Cavaliere: quel castello cade da solo. Significa sradicare le idee sbagliate, sminare e bonificare il terreno che si voleva difendere. Per liberarne il Paese dobbiamo liberarcene prima noi. Solo abbandonando le armi improprie dell’antiberlusconismo si riuscirà ad essere la bussola di quanti, finito Berlusconi, saranno rimasti, anche loro, senza riferimenti.
Dalla nostra capacità di sbarazzarci dalle some che abbiamo ritenuto di dover portare, dalla capacità di godere della ritrovata libertà di muoversi dove avevamo costruito trincee, dipende il nostro futuro. Negli ultimi tempi si è molto parlato di Blair, del suo merito nell’aver capito che le geografia politica inglese era cambiata e che si poteva vincere ridefinendo il Labour. Oggi la situazione politica offre le condizioni per far la stessa cosa in Italia. Intuizione non peregrina, che quindi saranno in molti ad avere. Non sarà la stessa cosa se ad arrivare prima sarà qualcuno che venga dalle parti di Casini, o di Fini, oppure qualcuno che venga dalle nostre. Nonostante tutto continuo a pensare che potrebbe perfino essergli più facile.

Fonte: Il Riformista del 21 settembre 2010

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