La burocrazia mangia il lavoro? Le imprese grandi e piccole almeno su un punto sono unite: nella nostra legislazione del lavoro esistono troppe discrezionalità, troppi poteri sovrapposti, troppe aree grigie che finiscono per scoraggiare chi deve assumere e vorrebbe avere regole certe davanti a sé.
Lobiettivo è quello di conciliare la ricerca della flessibilità e il rispetto dei diritti ma quando si mette in mezzo la burocrazia tutto diventa più difficile. E non si può dire certo che la maggiore innovazione istituzionale degli ultimi anni, il federalismo, abbia aiutato il lavoro. Tuttaltro e la cosa va annotata con profondo dispiacere.
Prendiamo i centri per limpiego, quelli che dovrebbero essere gli hub dellincontro domanda-offerta e invece in realtà riescono a intermediare solo 3 assunzioni su 100. I centri sono sotto la giurisdizione delle Province e risentono ovviamente del differente livello di efficienza delle amministrazioni locali.
Culturalmente poi sono rimasti molto indietro, non hanno tempo e mentalità per dedicarsi alla pedagogia minima di chi cerca unoccupazione (a cominciare dallo scrivere un buon curriculum) e soprattutto non si rivolgono alle aziende per favorire e incentivare la ricerca di personale.
E chiaro che dal punto di vista metodologico le agenzie private del lavoro (le varie Manpower, Gi Group, Adecco, ecc.) sono avanti anni luce e già svolgono una funzione sussidiaria. Di fronte a questa situazione di palese asimmetria culturale cè il rischio che per gestire i fondi europei della youth guarantee (importantissimi!) qualcuno proponga uninfornata di assunzioni per i centri dellimpiego.
Le imprese, invece, vedono di buon occhio il finanziamento di progetti comuni tra struttura pubblica e agenzie private misurati sulla base dei risultati. Sembra luovo di Colombo ma la politica e la burocrazia non colgono lurgenza di operare per discontinuità. E quindi incrociamo le dita.
Passiamo ai tirocini, sapendo che nel recente passato se nè abusato. Ci voleva una regola e la legge Fornero è intervenuta imponendo parametri più severi e demandando la materia alle Regioni. Però solo sei o sette di esse hanno recepito le linee guida ministeriali con il risultato di rendere difficile luso del tirocinio.
In più ogni Regione ha adottato dispositivi differenti e le imprese localizzate in più territori si trovano, almeno inizialmente, spiazzate. Da Roma poi è arrivato linput che fa premio la sede legale e quindi a tutte le filiali vanno applicate le regole di quella Regione, ma ci vuol poco a capire come tutto ciò abbia e continui a scoraggiare le assunzioni.
Non è un caso che nel documento comune di Genova sottoscritto da Confindustria e sindacati si chieda di riaffrontare il tema del titolo V della Costituzione in modo che il ministero si riappropri di tutta una serie di competenze. Le imprese criticano anche la legge Fornero perché ha limitato eccessivamente la finestra temporale per accedere ai tirocini e in definitiva li ha resi più difficili.
Il quaderno delle doglianze anti-burocratiche non si ferma qui. Cè anche la delicata materia dei contratti a tempo determinato. La legge concede alle imprese 12 mesi di cosiddetta acasualità, ovvero il contratto non deve essere legato a uno specifico progetto.
Passato lanno limpresa per rinnovarlo deve però addurre motivi organizzativi e questa formula crea una zona interpretativa grigia che alimenta il contenzioso legale, la discrezionalità dei giudici del lavoro e il rischio di sanzioni.
Tutto ciò alle orecchie dellimprenditore che vuole assumere finisce per suonare come un disincentivo totale che lo porta a rimandare o archiviare la decisione di ampliare gli organici. E opinione di molti che sarebbe meglio introdurre, come fa mezza Europa, un tetto massimo temporale piuttosto che affidarsi a una causale che genera incertezza.
Nella sperimentazione concordata per lExpo 2015 si sta valutando lipotesi di introdurre un contratto senza causale che però sia il primo rapporto di lavoro in assoluto e comunque non superi i 12 mesi. E chiaro che qualsiasi semplificazione burocratica rende più facile assumere alle piccole imprese che non hanno la struttura dellufficio del personale che hanno le grandi per barcamenarsi nei meandri del diritto del lavoro made in Italy.
Altro tema di frontiera è lapprendistato. Mentre lEuropa sta cercando di scrivere un glossario comune delle professioni con profili validi a Dusseldorf come a Bari, le Regioni italiane decidono gli standard formativi, previsti dal contratto di apprendistato, luna in maniera diversa dallaltra.
E stiamo parlando di saldatori a filo o mestieri equivalenti! Le imprese chiedono alle Regioni di organizzare i corsi di formazione, spesso gli enti locali non sono in grado e quando lIspettorato del lavoro va in fabbrica sanziona duramente le aziende inadempienti.
Il risultato è i contratti di apprendistato stipulati in Italia sono circa 70 mila a trimestre, in Europa si viaggia a sei zeri. La colpa è in gran parte proprio degli impedimenti burocratici che a livello di territorio complicano la definizione del piano formativo e la successiva verifica.
Anche in questo caso i primi a scappare da quello che reputano un rompicapo sono i piccoli imprenditori e fortunatamente il recente decreto lavoro predisposto dal governo Letta ha stabilito un limite entro il quale se le Regioni non hanno legiferato sulla materia scattano in automatico le procedure di semplificazione. Infine il lavoro intermittente, quello che riguarda settori ad alta stagionalità come il turismo.
Le norme prevedevano che fosse autorizzato solo in presenza di mansioni esecutive e ripetitive ma quella congiunzione ha generato numerosi conflitti interpretativi, al punto che il legislatore e intervenuto sostituendo alla e una o per rendere più spedita la valutazione.
Ma la verità che emerge da questo e altri esempi e quella di uno Stato che sostanzialmente non si fida degli imprenditori ed è quindi portato ad erigere vincoli e paletti che non servono di fatto a tutelare il lavoratore ma a renderne più arduo lingresso nel mondo del lavoro. E ad alimentare un contenzioso che fa crescere le pendenze legali e intasa i tribunali.
Dai centri per l’impiego all’apprendistato, la burocrazia blocca il lavoro
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