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“Da Google a Facebook, ora si sveglieranno tutti i big della Rete”

«Una buona notizia che fa chiarezza: i Graham escono ammettendo che il vecchio business è finito, non c’è più. E vendono a chi può reinventare il Washington Post nel nuovo universo tecnologico. Jeff Bezos non è un filantropo: compra per gestire e il suo esempio sarà seguito dagli altri giganti della Internet economy : scenderanno in campo anche Google, Facebook, Twitter e gli altri».
Solitamente assai pessimista sul futuro del business editoriale, Michael Wolff – grande esperto di «media» e autore di una biografia di Rupert Murdoch prima autorizzata poi disconosciuta dall’editore australiano perché troppo tagliente – stavolta trova qualche ragione di speranza nella discesa in campo del fondatore di Amazon. E fa una previsione scioccante: gli altri «big» dell’economia digitale compreranno anche loro testate giornalistiche che hanno seri problemi economici ma anche un brand forte e una buona capacità di produrre contenuti giornalistici di qualità. «Qui in America e altrove: Asia, Europa e – perché no? – anche Italia».
Sempre netto nei giudizi, Wolff merita di essere ascoltato perché, in genere, ci prende: fu il primo a dire che Newsweek era già morto quando ancora si succedevano i piani di salvataggio. Una decina di giorni fa, accortosi che la società dei Graham stava investendo in altre industrie – fornaci, sistemi di combustione – aveva scritto sul Guardian che il disimpegno di quella famiglia dall’editoria era ormai imminente. E nella sua biografia aveva fatto arrabbiare Murdoch soprattutto per la descrizione di una moglie, Wendy, aggressiva e avida: pagine che oggi forse Rupert, impegnato in una dura battaglia giudiziaria per il divorzio, rilegge con occhi diversi.
Non c’erano alternative alla cessione? Donald Graham ha detto che avrebbero potuto continuare a garantire la sopravvivenza, ma solo quella.
«Non è vero. Questa azienda è morta e Katharine Weymouth, l’ultimo rampollo della dinastia alla quale era stata affidata la gestione del giornale, si è rivelata un assoluto disastro. Anche gli altri giornali sono in crisi, ma lei ci ha messo di suo: ha sbagliato tutto nello sviluppo dell’area digitale, nonostante che il Post sia partito prima degli altri con l’edizione online. Ha puntato sul modello del giornale locale, mentre la pubblicità locale abbandonava totalmente i giornali. Voleva un Post supercontrollore del governo federale, ma questo ruolo è stato scippato da un piccolo sito, Politico.com . Basta vedere i numeri: decine di milioni di dollari di perdite ogni trimestre, fatturato in continua contrazione da 7 anni».
E adesso, che se ne fa Bezos di un cadavere?
«Il suo intervento è la cosa migliore che potesse accadere al Washington Post e all’editoria tradizionale in genere. I Graham ammettono finalmente che un business è finito. E voltano pagina consegnando il giornale a uno dei pochi imprenditori in grado di reinventare un modo economicamente praticabile di fare giornalismo».
Lui si è presentato come un filantropo. Dice che confermerà tutti i capi attuali della società e il direttore del giornale: ha già un mestiere a Seattle e non ne cerca un altro a Washington.
«Balle. Ha speso molto per il giornale (poco in rapporto al suo patrimonio personale), ma non è un filantropo: gestirà eccome. Ristrutturerà e cercherà nuovi modi di far fruttare il giornalismo. È questa sfida che lo ha spinto a muoversi. E gli altri seguiranno».
Google, Zuckerberg: tutti interessati al giornalismo, tutti lettori, ma non hanno mai detto di voler comprare giornali.
«Neanche Bezos, se è per questo, aveva mai ipotizzato l’acquisto di una testata. Ma lui editore digitale lo è già. Ora il Washington Post gli consente di sperimentare nuove forme di integrazione verticale nel business dell’informazione e di sfruttare la rete di vendite online di Amazon. Senza dimenticare che lui controlla già il più potente strumento di distribuzione digitale di contenuti editoriali: il Kindle. Da oggi qualcosa del genere frullerà anche nella testa dei capi di Google e degli altri giganti dell’economia digitale, tutti impegnati a reinventare continuamente i loro business e ad aprire nuove strade».
Davvero pensa che Google e gli altri, dopo aver invaso il mercato pubblicitario dei giornali, compreranno ciò che resta dei loro business?
«In America sicuramente sì. E anche in tempi rapidi. Venduti Wall Street Journal , Los Angeles Times e, ora, il Washington Post , le famiglie che hanno fatto la storia dell’editoria Usa non ci sono più, con l’unica eccezione dei Sulzberger al New York Times . E anche lì ci sono problemi. Secondo me accadrà anche all’estero, ma ogni Paese ha la sua storia, le sue leggi sull’editoria. Tempi e soluzioni saranno diversi. Ma un giornale con un marchio e una struttura giornalistica forti sarà ovunque una preda appetibile, anche se in perdita. Purché si possa ristrutturare. E comprare a costo zero, o quasi».

Fonte: Corriere della Sera del 7 agosto 2013

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