• sabato , 23 Novembre 2024

Da Cina e Giappone schiaffo al dollaro

Intesa per privilegiare le due monete asiatiche nell’ interscambio commerciale.Il drago cinese resta comunque una potenza nazionalista e aggressiva che spaventa tutti i vicini.Non è (ancora) la detronizzazione del dollaro dal suo ruolo di valuta di riserva mondiale, ma l’ «accordo di Natale» sulle monete tra Cina e Giappone indica che l’ Asia vuole fare da sola, sganciandosi anche da un euro alla deriva. L’ intesa raggiunta il 25 dicembre a Pechino tra il primo ministro giapponese Yoshihiko Noda e il premier cinese Wen Jiabao, potrebbe anche non avere, nell’ immediato, un impatto colossale. L’ obiettivo di regolare sempre più l’ interscambio commerciale tra i due Paesi (pari a 260 miliardi di euro l’ anno, il flusso di transazioni più grosso del mondo) in yen e yuan, le loro rispettive valute, senza l’ intermediazione del dollaro, sarà probabilmente perseguito con molta gradualità. E anche l’ altra parte più innovativa di un accordo complesso e a molte facce – l’ intenzione di Tokio di acquistare «asset» e obbligazioni cinesi denominate in yuan, compresi titoli del Tesoro di Pechino – sembra più una dichiarazione d’ intenti che una rivoluzione, viste le dimensioni estremamente limitate del Dim Sum, il mercato obbligazionario di Shanghai, la piazza finanziaria del gigante asiatico. Ma non c’ è dubbio che l’ intesa è piena di simbolismi destinati a rafforzare l’ immagine di un’ Asia sempre più autonoma e con una forte capacità d’ attrazione. Accordi che, al di là delle ragioni tecnico-economiche che li hanno ispirati – ragioni che hanno un loro fondamento oggettivo – entro pochi anni potrebbero anche innescare nuovi processi di tipo politico. In sé la scelta di utilizzare di più yen e yuan nelle transazioni tra i due Paesi risponde all’ esigenza di contenere i rischi sui cambi, ridimensionando il ruolo della valuta – il dollaro – che negli ultimi anni si è dimostrata più debole e instabile e archiviando la possibilità di ricorrere maggiormente a un euro che negli ultimi mesi ha perso credibilità e valore. Anche l’ intenzione di Tokio di investire di più in titoli cinesi risponde a una ragionevole strategia di diversificazione del rischio: il Giappone, secondo solo alla Cina per l’ imponenza delle sue riserve valutarie (1.300 miliardi di dollari, mentre Pechino ne ha per ben 3.200 miliardi), sta, infatti, registrando grosse perdite sui suoi massicci investimenti denominati nella valuta Usa. In questo Cina e Giappone, storiche nemiche sul campo, registrano una crescente convergenza d’ interessi in campo commerciale e finanziario. Una convergenza che ha reso possibile un’ intesa tra due Paesi comunque divisi da dispute territoriali (isole contese del Pacifico), che faticano a tenere a bada opinioni pubbliche attratte più dal falò dei contrapposti nazionalismi che dalle ragioni del dialogo. Proprio per questo l’ accordo ha preso di sorpresa molti osservatori. E ora, davanti a una Cina che ha messo a segno un altro colpo sulla strada del riconoscimento del ruolo internazionale dello yuan, ci si chiede quanto peserà, nel lungo periodo, questo processo. È passato poco più di un mese dal viaggio di Barack Obama nell’ area del Pacifico e dalle conferenze nelle quali gli Stati Uniti sono riusciti, oltre che a rilanciare il loro dispositivo militare e il loro sistema di alleanze in Estremo Oriente, a creare un meccanismo di contenimento economico della Cina con un trattato di libero scambio tra i Paesi dell’ area e gli Usa che esclude Pechino. Ora la Cina (che qualche giorno fa ha concluso con la Thailandia un altro accordo sulle valute che prelude a un maggior impiego dello yuan anche nel Sudest asiatico) dà la sensazione di voler sfruttare la sua forza finanziaria per spezzare ogni tentativo di costringerla sulla difensiva sul piano commerciale. Il drago cinese resta comunque una potenza nazionalista e aggressiva che spaventa tutti i vicini. Il ruolo geopolitico degli Usa nell’ area non dovrebbe, quindi, essere messo in discussione. Ma è chiaro che per l’ Occidente continua a piovere sul bagnato: se per gli Usa (già sotto pressione per i venti di guerra civile nell’ Iraq appena abbandonato) l’ intesa anti dollaro è comunque uno smacco, le cose non vanno molto meglio per l’ Europa. Tanto che le prime reazioni preoccupate all’ accordo di Pechino non sono venute da Washington ma dalla cancelleria tedesca.

Fonte: Corriere della Sera del 28 dicembre 2011

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