La fotografia dello stato di difficoltà del commercio italiano è fin troppo facile da scattare. I neri prevalgono nettamente sui bianchi e le cause sono altrettanto facilmente rintracciabili nel crollo dei consumi interni e nel pericolo di un ulteriore aumento dellIva.
Ma siccome non ci si può piangere addosso in eterno vale la pena tentare di costruire un ragionamento che guardi in avanti, che lavori nella prospettiva del superamento dellanno zero del commercio. Da dove partire? Sicuramente da un elemento di discontinuità culturale, quello che deve cambiare tra gli operatori del settore è infatti lapproccio con il mercato. La vecchia relazione che si aveva con il business era semplificata, quasi automatica, standardizzata.
Le variabili erano la posizione, i prezzi praticati, la cortesia, lassenza di concorrenza nei paraggi, la capacità di mettere su una bella vetrina. Ma quel mercato molto regolare, fidelizzato, prevedibile, purtroppo non esiste più. Agli storici delleconomia il compito di dirci se tutte le colpe ricadono sulla Grande Crisi oppure saremmo arrivati comunque allo stesso punto di oggi, magari con tempi più ritardati.
Lunica cosa che non è permessa (e consigliata) è però chiudere gli occhi di fronte alla realtà. Il mondo del commercio è dunque cambiato velocemente. Noi italiani purtroppo non abbiamo una sufficiente cultura di quello che nel mondo degli affari si chiama retail (dettaglio) e così via via ci siamo fatti impartire lezioni dai francesi, dagli americani e persino dagli svedesi e dagli spagnoli.
Ci manca la cultura del consumatore, lattenzione spasmodica ai mutamenti della domanda, degli stili di vita, dellattenzione al servizio. Ci siamo stupiti quando nei supermercati si è cominciata a vendere linsalata nei sacchetti, inizialmente non capivamo che il focus si era spostato dalla verdura al servizio.
Oggi ne siamo in qualche maniera diventati schiavi. Eppure anche lessicalmente la parola «dettaglio» ci indurrebbe alla cura dei particolari, a voler offrire un servizio perfetto. Purtroppo molto spesso non è così e il commercio appare culturalmente statico.
Pensa che il solo valore aggiunto risieda nella prossimità del negozio allabitazione o allufficio del consumatore. La vicinanza resta sicuramente un punto a favore ma deve essere coniugato con altri fattori. Ad esempio, la logica della concentrazione dei punti di vendita della stessa merceologia nello stesso quartiere o nella stessa strada può essere un elemento di qualificazione, uno stimolo continuo a superarsi e a specializzarsi.
Eppure sono pochi i casi di questo tipo in Italia. E ancora: la flessibilità degli orari può essere giocata come elemento di marketing specie nelle aree metropolitane sfruttando la pausa pranzo oppure la sera nei circondari con ristoranti, cinema e teatri.
Un mercato nervoso e imprevedibile richiede anche una propensione alla rotazione delle merci offerte e dello stesso format distributivo, almeno dentro un perimetro relativamente omogeneo. Niente è per sempre e comunque. Una pagina tutta da scrivere è poi quella che riguarda le-commerce che in alcuni settori sta diventando il canale prevalente, si pensi ad esempio alla vendita dei pacchetti vacanze.
È chiaro che più si sottolineano gli aspetti di discontinuità più viene spontaneo sostenere le ragioni di un ricambio. La generazione dei nativi digitali sta cominciando a rivisitare lartigianato con lesperienza dei makers perché non può accadere qualcosa di simile nel commercio?
Spulciando tra i dati sullapertura di partite Iva il settore fa ancora la parte del leone e, spesso per mancanza di alternative, attrae le/i trentenni. Smetteremo un giorno di considerarla una disgrazia e invece proveremo a viverla come unoccasione?
Molto di quanto detto finora dipende dalle associazioni di rappresentanza che sono chiamate anche loro alla discontinuità. Non si vive di sola lobby romana, occorre stare sul territorio e aiutare «levoluzione della specie commerciale» formando i quadri e offrendo servizi più avanzati. Tutto sommato basta volerlo.
Crisi, quanto deve cambiare la cultura dei negozi?
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