• sabato , 23 Novembre 2024

Crisi della finanza, perché i nostri soldi sono tutti a rischio

Per quanto la parola d’ordine sia “ minimizzare”, la crisi dei mercati finanziari e delle Borse esplosa nell’estate scorsa, ha già lasciato segni profondi sia nel portafogli dei risparmiatori di tutto il mondo sia sulle prospettive di crescita dell’economia .
Ma ciò che sta accadendo in queste ultime settimane è assai più grave, perché apprendiamo che chi doveva capire ciò che stava accadendo , cioè le istituzioni internazionali, non lo avevano capito; e chi doveva prevenire tali fenomeni, cioè gli organismi di vigilanza delle banche centrali, non ha avuto né la percezione dell’urgenza, nè la forza di imporlo alle proprie agende ed a quelle della politica .
Tutto nasce quando in agosto esplode la crisi dei cosiddetti mutui subprime, prestiti assegnati con larghezza a cittadini americani non in grado di rimborsarli. L’insolvenza dei mutuatari si trasferisce ben presto nelle banche, con una crisi di fiducia che in men che non si dica rende non vendibili tutti i titoli del genere, non solo quelli in crisi. Sparisce la liquidità, si alzano i tassi d’interesse, le attese per la crescita diventano più fosche.
Sicchè, man mano che l’analisi e la comprensione dei fenomeni avanza, si svela una realtà che dopo l’esperienza dei Corporate Bond sul tipo Parmalat, pensavamo fosse definitivamente alle spalle. E cioè che, nonostante i G8, il Fmi, l’Ecofin, l’Ocse, il metodo Lamfallussy e tutti gli altri consessi in grado di monitorare e governare la finanza internazionale, nelle fabbriche di prodotti finanziari del mondo si è continuato a produrre titoli “sandwitch”, infarciti di ingredienti sconosciuti e indigeribili; e questo perchè un gran numero di blasonate banche soprattutto americane, era pronto ad acquistarli.
Ci si potrebbe dunque chiedere perché blasonate banche sono state disposte a mangiare quei “sandwitch” e la risposta inquieta più che rassicurare: li acquistavano attratte dagli elevatissimi guadagni che garantivano, associati come si è visto ad altissimi rischi; e li acquistavano perché con quegli elevatissimi guadagni realizzavano profitti così elevati da poter finanziare altre banche in una crescita dimensionale a suon di Opa e contro Ppa diretta forse più a mascherare i rischi che non a creare valore per l’economia e i risparmiatori. L’opa del secolo Abn Amro Rbs insegna.
E’ alla luce di questa realtà che va letta la curiosa iniziativa del capo economista di una grande banca americana , la Goldman Sachs, il quale ha preso carta e penna ed ha scritto al governatore della Banca Centrale Europea, Trichet, consigliandolo di ridurre i tassi di interesse ed indicandogli, naturalmente solo per fargli una cortesia, la data del 6 dicembre come momento più giusto. Il che è come se un contribuente chiedesse al fisco di ridurre l’autotassazione di novembre, indicando al ministro delle finanze anche di spostarla a gennaio perché gli è più comodo.
Si tratta, come appare evidente, di una improprietà ed irritualità, sia pure motivata dalla nobile esigenza di favorire le prospettive di crescita dell’economia. Ma ciò non toglie che non può essere certo un rappresentante di chi ha prodotto il guaio a dettare le condizioni per risolverlo.
Una evidente crisi di identità e di ruolo che tuttavia ha la sua ragion d’essere. Perché è la stessa crisi di ruolo che dopo la crisi di questa estate sta indebolendo le banche centrali e le istituzioni finanziarie internazionali. Il Governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi, in un recente intervento pubblico ha confessato che le autorità monetarie si trovano di fronte ad un fenomeno , quello dell’impatto dei derivati e prodotti strutturati, che non sanno valutare né governare perché non appaiono nei bilanci delle banche. Tommaso Padoa Schioppa, ministro dell’Economia ha ammesso in una lettera inviata all’Ecofin le sue preoccupazioni, sottolineando che la Bce ha preso decisioni “in mancanza di informazioni di vigilanza sullo stato di salute delle banche” e che “la stabilità finanziaria e la tutela degli investitori sono salvaguardati in modo insufficiente”. Un modo garbato per dire che in questo momento, di fronte alla crisi della finanza, si è capito di aver sbagliato, non si sa come intervenire e si decide alla cieca. Per fortuna qualcuno comincia a capirlo, ma si tratta davvero dell’unica ed insufficiente nota positiva.

Fonte: 30 novembre 2007

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