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Crescere nell’eurozona

A partire dalla crisi del 2007-09, l’aumento rapido e consistente del debito pubblico è diventato un fenomeno generalizzato nei paesi avanzati. Per la prima volta, infatti, il livello medio del rapporto debito/PIL dei paesi OCSE ha superato il 100%. Il consolidamento fiscale peserà quindi sulle prospettive di crescita per le prossime due generazioni, mentre lo stato del welfare così come lo conosciamo in Europa sin dalla Seconda Guerra Mondiale dovrà essere trasformato, in particolar modo visto l’invecchiamento rapido della popolazione.
Ma la crisi del debito dell’eurozona ha delle caratteristiche peculiari. L’aspetto più rilevante è dato dal fatto che se da un lato la media del rapporto debito/PIL non è più elevata di altri paesi avanzati e gli sforzi di consolidamento sono già in atto da diverso tempo, dall’altro negli ultimi due anni l’eurozona è comunque rimasta impantanata in una grave crisi di fiducia. Il che la sta portando verso una dimensione sistemica della crisi la cui causa non può essere attribuita limitatamente a dei comportamenti dissoluti dei peccatori fiscali.
Senza dubbio, la crisi greca ha svelato tre difetti fondamentali dell’unione monetaria. Innanzitutto, la mancanza da parte del sistema di disposizioni efficaci per l’allineamento delle politiche fiscali e di altre politiche economiche. Finché la disciplina fiscale sarà affidata ad un ente intergovernativo, il problema continuerà a ripresentarsi, limitando la credibilità delle regole di budget comuni.
Inoltre, i mercati finanziari continuano a sottovalutare i rischi del credito sovrano e privato convinti della loro infallibilità e del risanamento del debito, e applicando quindi una debole disciplina di mercato sui beneficiari dei prestiti.
Infine, con lo scoppio della crisi e la conseguente rivalutazione dei rischi dei mercati finanziari, la necessità di evitare un crollo economico e finanziario ha costretto i governi a sostenere la domanda aggregata e ad adempiere alle obbligazioni assunte. Ma il distacco tra il potere monetario centralizzato ed il potere fiscale decentralizzato ha impedito, di fatto, il pieno utilizzo degli strumenti monetari e degli shock finanziari.
Questo contesto ha lasciato i singoli membri dell’eurozona esposti ad una forte pressione da parte dei mercati finanziari in un momento in cui l’eccesso di debito privato si è trasformato in debito pubblico arrivando a livelli insostenibili. L’eurozona è quindi diventata improvvisamente una camicia di forza.
E così è rimasta, comportando diversi tagli di budget e difficoltà di crescita, mentre i paesi periferici si sono trovati a dover implementare una politica di svalutazione del tasso di cambio reale per recuperare competitività e coprire il deficit esterno. I paesi chiave, nel frattempo, sostengono di non poter fare molto per rafforzare la domanda aggregata e attenuare la pressione sui paesi partner, anche se l’agonia dei paesi periferici sta trascinando quelli chiave nella recessione a causa della loro dipendenza dai mercati periferici di esportazione. I dati recenti indicano un peggioramento rapido del contesto economico tedesco che ha visto, negli ultimi mesi, una riduzione drastica del surplus commerciale.
Negli ultimi due anni, ci sono stati una serie di cambiamenti fondamentali nella governance economica dell’eurozona, con l’obiettivo di porre rimedio ai difetti fondamentali dell’unione monetaria. E nel corso di questo procedimento il processo intergovernativo è diventato comunitario. I poteri chiave sull’implementazione delle linee guida comuni delle politiche sono stati affidati alla Commissione europea, mentre il Consiglio europeo ha a sua volta limitato la sua capacità di respingere le raccomandazioni della Commissione introducendo il requisito della maggioranza qualificata per eventuali modifiche.
Delle solide regole di governance economica non saranno tuttavia sufficienti. Un’unione monetaria perfettamente funzionante richiede una banca centrale libera di agire per far fronte ad eventuali shock di fiducia e di liquidità, alla mutualizzazione del debito pubblico e libera di esercitare un controllo centralizzato sulla politica fiscale. Inoltre, deve poter affidarsi a delle politiche di supervisione bancaria centralizzate e avere il potere di gestire le crisi bancarie e liquidare le banche che non possono essere salvate.
Tutto questo può essere raggiunto solo per gradi, con il passaggio dell’Europa ad un’unione federale effettiva. La sopravvivenza dell’eurozona nel frattempo sarà determinata dalla capacità del Consiglio europeo di creare delle disposizioni intermedie in grado di fermare la crisi e ripristinare la fiducia tra i suoi membri.
Durante l’incontro di fine giugno, i leader europei hanno riconosciuto per la prima volta la dimensione multisfaccettata della crisi, riconoscendo che l’austerità, ovvero il mettere in ordine i propri conti, non è sufficiente. Ci saranno, quindi, delle nuove iniziative politiche relative alla crescita economica, all’unione bancaria e alla liquidità. Inoltre, i leader europei hanno inserito queste nuove politiche all’interno di una struttura lineare di lungo termine che potrebbe anche includere l’emissione del debito comune.
Allo stesso modo, il Consiglio europeo ha approvato un nuovo patto su crescita e occupazione che individua una specifica dimensione europea di politiche di crescita, tra cui in particolar modo l’integrazione del settore energetico, dei trasporti, delle comunicazioni e dei servizi, con l’ausilio di maggiori investimenti nelle infrastrutture.
Ciò che manca in modo evidente è il riconoscimento del bisogno di una maggiore flessibilità sugli sforzi di consolidamento fiscale. Come richiesto dalla Commissione, i paesi con posizioni fiscali più solide dovrebbero considerare il rallentamento dei loro sforzi di consolidamento per evitare un peggioramento della recessione. Ma, al fine di preservare la fiducia degli investitori, alcuni paesi dell’eurozona devono comunque trovare un equilibrio, difficile da raggiungere, tra austerità ed eccesso. Il che sarebbe stato più semplice se il Consiglio europeo avesse dichiarato apertamente che l’uso degli stabilizzatori anche in un contesto di rispetto dei target strutturali di budget è in linea con gli obblighi previsti dall’Unione europea.
Inoltre, una parte maggiore del peso degli aggiustamenti deve necessariamente ricadere sulla Germania. I recenti accordi consistenti sugli stipendi in Germania rappresentano un contributo importante, ma non sono sufficienti. C’è infatti anche bisogno di promuovere la domanda interna, mentre una liberalizzazione più aggressiva del sistema bancario, dei servizi di rete (in particolar modo di energia e trasporto) e dell’approvvigionamento pubblico potrebbero contribuire, nel tempo, ad aumentare in modo significativo gli investimenti e i redditi interni. L’entità degli investimenti necessari per compensare la perdita di energia nucleare potrebbe contribuire a dare uno stimolo più immediato.
Tutto questo non dovrebbe essere visto come una concessione, ma come parte degli obblighi assunti dai governi dell’eurozona per affrontare gli squilibri degli eccessi. Ora più che mai la Germania deve essere persuasa del fatto che senza il suo contributo nel ripristinare la crescita e correggere gli squilibri esterni, l’eurozona affronterà una depressione prolungata ed un crollo sicuro.

Fonte: Sole 24 Ore del 19 luglio 2012

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