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Costi ridotti e Pil trainato dall export. Il modello della Germania non funziona per tutti. Se si vuole crescere bisogna puntare sulla domanda interna

“SE TUTTI I PAESI EUROPEI fossero come la Germania, l’Europa sarebbe forte, competitiva e in piena occupazione”. Questo sembra essere l’assioma che sta alla base delle politiche europee: riforme strutturali per tutti per essere più com- petitivi; l’esempio è quello della Germa- nia che ha saputo modiicare il suo siste- ma agli inizi di questo secolo e oggi è il paese europeo che meno ha sofferto della crisi economica.
Molti dubitano che paesi come la Fran- cia, la Spagna, l’Italia, la Grecia possano un giorno diventare simili alla Germania, ma la questione principale è un’altra: un’Europa tutta eguale alla Germania sarebbe un’Europa forte e capace di cre- scere? Non è affatto detto che sia così. Il modello di crescita della Germania è quello ereditato dal dopoguerra da parte di tutti i paesi europei,a partire dal nostro: un modello basato sul traino delle espor- tazioni. Secondo questo modello, il paese deve contenere i costi di produzione e deve migliorare la qualità dei suoi prodot- ti per essere competitivo sui mercati inter- nazionali e per favorire così le esportazio- ni. La crescita delle esportazioni, a sua volta,genera maggiore occupazione inter- na e maggiori necessità di capacità pro- duttiva. La maggiore occupazione e la necessità di capacità produttiva trascina- no maggiori consumi interni e maggiori investimenti, mettendo così in moto il circolo della crescita economica.
Per alcuni decenni, nel dopoguerra, questo modello ha funzionato, perché l’Europa era nella fase di ricostruzione e di crescita verso più elevati livelli di consumo (il “miracolo economico” o, come dicono i francesi, “i trenta gloriosi” con riferimento ai tre decenni successivi alla seconda guerra mondiale). Poi è interve- nuta la crisi da petrolio, a metà degli anni ’70, che ha abbassato la crescita di tutti i paesi industriali, quindi l’Europa si è al- largata a nuovi paesi che hanno fatto ri- corso allo stesso modello, riducendo la carica di crescita dei “vecchi” e infine siamo entrati nella grande crisi globale.
In queste nuove condizioni, il modello di crescita trainato dalle esportazioni non ha più funzionato per l’insieme dei paesi: può ancora andar bene a un numero limi- tato di paesi che lo adotti a scapito degli altri. È quanto avviene, giustamente, da parte dei paesi dell’Est Europa recente- mente entrati nell’Ue, come la Polonia che continua (ancora per poco) ad avere costi di produzione bassi. È quanto ha fatto la Germania a partire dai primi anni 2000, comprimendo i salari e la domanda inter- na per riuscire ad esportare anche verso i paesi europei, grazie all’adozione dell’eu- ro che ha garantito una stabilità dei cam- bi all’interno dell’Europa.

POTEVAMO FARE tutti come la Germa- nia? Sicuramente no. Se tutti i paesi eu- ropei avessero adottato il modello tede- sco, comprimendo i salari per poter esportare, avremmo generato una fortis- sima riduzione della domanda interna europea per consumi ed investimenti e nessun paese (Germania compresa) sa- rebbe riuscito ad incrementare le sue esportazioni verso gli altri paesi europei. Certo, avremmo esportato di più verso

l’Asia e verso le Americhe, ma queste maggiori esportazioni non avrebbero mai potuto compensare i danni causati dal crollo della domanda interna, sicché la crescita complessiva dell’Europa sa- rebbe stata anche più bassa di quella che poi è risultata essere con la crisi globale.

IL MODELLO dell’Unione europea non potrà mai essere una crescita trainata dalle esportazioni. Questo va bene per piccoli paesi che hanno una forte inci- denza delle esportazioni sulla loro pro- duzione e che stanno ancora nella fase di primo sviluppo dei loro consumi interni. Non è il caso dell’Europa che è una na- zione (quando lo sarà) di 500 milioni di abitanti istruiti, con tradizioni culturali sofisticate, con una forte capacità di consumo già acquisita e che vivono pre- valentemente in centri urbani. L’Europa è un grande mercato di consumo che deve crescere soprattutto puntando sulla sua domanda interna. Così avviene nell’altro grande mercato interno mon- diale: quello degli Usa, la cui crescita non è mai dipesa dalle esportazioni ma essen- zialmente dalla domanda interna.
L’Europa, con l’adozione dell’euro, sembrava voler andare verso la costituzio- ne di un grande mercato interno, dove la domanda interna fosse il traino della crescita europea e del resto del mondo. Invece siamo tornati a predicare politiche nazionali di riaggiustamento e di compe- tizione, come nei trenta gloriosi anni del miracolo economico, senza tener conto che quegli anni non torneranno mai più, neppure per la gloriosa Germania.

Fonte: L'espresso . 12 Marzo 2015

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