di Giuseppe Pennisi
La stabilità non si addice agli instabili. Questo commento venne pronunciato da un alto funzionario italiano (che non desidera essere citato) quando la mattina del 16 ottobre 2014 vide le dieci paginette, con tabelle in gran misura bianche, che erano state inviate quasi all’alba, per ottemperare all’obbligo di presentare lo schema di disegno di legge entro la mezzanotte del 15 ottobre.
Speriamo, in primo luogo, che l’episodio non si ripeta, ossia che la Commissione Europea riceva, entro i termini stipulati, un testo snello e pulito che consenta di mostrare chiaramente quale politica economica intende fare l’Italia per risolvere i nodi di bassa produttività, poca occupazione, un parco di infrastrutture in pessime condizioni, il terzo più alto debito pubblico (rispetto al Pil) del mondo, una contrazione della produzione manifatturiera sul valore aggiunto totale, un crescente invecchiamento e una rapida immigrazione dal mediterraneo meridionale ed orientale, un divario incrementale tra il Nord ed il Sud del Paese. E tanti altri problemi.
Oggi, 15 ottobre, si sa molto poco sulla legge (che è all’ordine del giorno del consiglio dei ministri odierno). Conosciamo il Documento di Economia e Finanza (che ne dovrebbe rappresentare la cornice) e il parere inviato dal Parlamento al CNEL, in cui si mette in guardia, tra l’altro, nei confronti della “deflazione da debito pubblico”, Però, sul disegno di fondo e sulle singole misure si sa poco e niente. Nonostante, da qualche tempo, il Palazzo pare diventato un colabrodo da cui fuoriescono, a getto continuo, indiscrezioni su questo o quel provvedimento che sarebbe in cantiere.
Il primo problema se e quanta flessibilità (il presidente del Consiglio la chiama così) ci verrà concessa per posporre l’obbligo di pareggio di bilancio, aumentando, però, il deficit e, quindi, il debito. Dopo l’esame rigoroso della legge di stabilità della Spagna, le prospettiva di una speciale clemenza (rispetto a trattati ed accordi che abbiamo sottoscritto senza neanche un vero dibattito in Parlamento) sembra quanto mai incerta. Il destino resta “cinico e baro”.
Nell’ultimo numero della rivista Economic Synopses, Ana Maria Santacreu della Federal Reserve Bank di St. Louis scrive che “in una unione monetaria sono quanto mai essenziali solide politiche macroeconomiche per evitare una crisi d’insolvenza”. Nel più recente fascicolo di SouthWest Economy, Michael Weiss della Federal Reserve Bank di Dallas ci ricorda che stiamo in una strada, l’eurozona, piena di buche. In breve, parole di banchieri centrali che ammoniscono a non farsi troppe illusioni.
Qualche indicazione propositiva viene da un saggio di George Economides, Hyun Park, Apostolis Philippopolos, Stelio Sakkas pubblicato come CESifo Working Paper Np. 5510. Da un modello di equilibrio economico generale, da loro appositamente costruito per l’eurozona, un aumento della spesa pubblica in istruzione e salute (sempre restando nei paletti dei trattati) avrebbero effetti migliori di gran parte delle misure discusse. In effetti, per quanto se ne capisca oggi, le spese per la salute verranno ridotte e quelle per l’istruzione resteranno al livello di quest’anno. Che fine ha fatto la spending review in cui si sono impegnati numerosi “commissari”? Sarebbe stata l’occasione per fare dimagrire altri settori e, nel contempo, dare maggiore enfasi a salute e istruzione. Vedremo.
Da un documento pubblicato in questi giorni dall’OCSE (TOWARDS A FRAMEWORK FOR THE GOVERNANCE OF PUBLIC INFRASTRUCTURE – OECD REPORT TO G20 FINANCE MINISTERS AND CENTRAL BANK GOVERNORS) e da uno studio della McKinsey, si ricava l’urgenza di un riequilibro della spesa pubblica tra di parte corrente e in conto capitale. In breve in un Paese come il nostro dovrebbe essere circa il 3,5% del Pil. Così lo era negli Anni Ottanta. Negli Anni Novanta, per ridurre il deficit al 3% del Pil ed essere ammessi nell’Eurozona, si arrivò al 2,5% che mantenemmo sino alla crisi finanziaria del 2008; da allora ha avuto una contrazione circa del 40%.
Quanto avremo le cifre potremmo dire se andiamo verso la stabilità o resteremo instabili.
Fonte: Formiche - 15-10-2015