• sabato , 23 Novembre 2024

Cosa compra e chi acquista azioni RAI

Cosa compra chi acquista azioni Rai

MARCO PANARA
La Rai in Borsa entro marzo, annuncia il Presidente del Consiglio.
Il 20 per cento ai privati, esulta il ministro delle
Comunicazioni. Il governo quindi sembra deciso, quello che resta
assolutamente nebuloso è però l’ oggetto della vendita. Le azioni
della RaiRadioTelevisione Italiana Spa, si dirà, e fin qui ci
arriviamo anche noi. Dove però il ragionamento fa fatica ad
avanzare è quando si cerca di capire che cosa quelle azioni
rappresentano. Perché gli investitori, istituzionali o privati che
siano, quando decidono di comprare delle azioni guardano cosa c’ è
dietro, quale patrimonio, quali attività, la struttura dei costi e
dei ricavi, le prospettive di ridurre i primi e di aumentare i
secondi, e tutto ciò al fine di farsi un’ idea su quanta strada
può fare il prezzo di quel titolo e quale remunerazione potrà
offrire. Oggi se si vanno a guardare i numeri della Rai e li si
confrontano con quelli per esempio di Mediaset, che è l’ unica
impresa in qualche modo comparabile, si vede subito che c’ è una
differenza enorme nei risultati. Se poi si approfondisce un po’ si
coglie che c’ è una gran differenza anche nelle prospettive perché
la Rai, come impresa, ha le mani assai più legate di quanto non le
abbia Mediaset. A legarle, quelle mani, sono tanti fattori, il più
concreto dei quali sono leggi e il più imbarazzante le ingerenze
politiche. E’ una storia vecchia quanto la Rai, che si è fatta
ancora più ambigua quando nel sistema si è affermata la tv
commerciale e che è diventata insostenibilmente ambigua quando il
proprietario di Mediaset è diventato leader politico e presidente
del consiglio. Se si vanno a vendere azioni Rai sul mercato
tuttavia, il vecchio problema assume una nuova concretezza e una
ulteriore dimensione. Perché la Rai, lo sappiamo tutti, è
bifronte: è servizio pubblico e televisione commerciale e, a
complicare le cose, lo è insieme. Non ci sono cioè per esempio due
società controllate, una delle quali gestisce il servizio pubblico
e l’ altra la televisione commerciale, ciascuna con le sue
strutture, i suoi costi e i suoi ricavi. E’ un tutt’ uno, che però
alle otto del mattino sulla Rete Uno risponde ad una logica e alle
otto e mezzo sulla stessa rete a un’ altra, magari mentre negli
stessi 60 minuti accade il contrario sulla Rete Due. Allora io,
investitore potenziale, cosa compro? E come valuterò il prezzo che
mi viene proposto? La Legge Gasparri in realtà stabilisce che
tutto ciò che è servizio pubblico dovrà essere coperto dal canone.
Benissimo, tutti i teleutenti sono chiamati a pagare un canone,
che è una tassa di scopo, e quei soldi che noi versiamo servono a
pagare i costi del servizio pubblico radiotelevisivo. segue a
pagina 4 La Gasparri stabilisce anche quali sono i compiti del
servizio pubblico (articolo 17) e aggiunge nell’ articolo
successivo che i costi relativi devono avere una contabilità
separata, arrivando a precisare come deve essere fatta l’
imputazione dei costi quando per il servizio pubblico si
utilizzano personale, strutture o materiali che vengono utilizzati
anche per altri compiti. Infine la stessa legge stabilisce che il
canone va fissato in misura tale da coprire i costi del servizio
pubblico, senza prevedere alcuna remunerazione per la società che
lo fornisce. E’ giusto che sia così: noi paghiamo una tassa (il
canone) in cambio del servizio, non per far guadagnare il soggetto
che lo fornisce. Quindi possiamo dire che c’ è una parte
consistente dell’ attività nella quale la Rai si deve comportare
come un soggetto non profit, come una fondazione. Da tutto ciò
deriva inoltre che i risparmi che la società riuscirà
eventualmente a realizzare rendendo più efficiente l’ attività di
servizio pubblico non andranno ad aumentarne i margini e quindi l’
utile da distribuire agli azionisti, ma a ridurre il canone e
quindi il prelievo dalle tasche dei cittadini. I quali dovranno
stare bene attenti che ciò avvenga. Comprando un’ azione della Rai
quindi, compro anche un pezzo di attività il cui andamento dei
costi e dei ricavi, nella mia qualità di azionista, non mi
riguarda e non mi deve riguardare. Per quella parte lì conto solo
come cittadino e, come cittadino, potrebbe anche seccarmi che a
decidere chi deve svolgere il tale o il talaltro compito di
servizio pubblico sia uno che non rappresenta me, che pago il
canone, ma gli azionisti che nulla c’ entrano con i costi e i
ricavi del servizio pubblico suddetto. Tuttavia tra il cittadino e
l’ azionista già si intravedono interessi divergenti. Il primo in
particolare, ha interesse a che la separazione dei costi sia
chiara e trasparente, ovvero che non si scarichino sul servizio
pubblico i costi e le inefficienze per rendere più redditizia la
parte privata, mentre il secondo deve stare bene attento che non
accada il contrario, e cioè che non si paghi il servizio pubblico
con entrate diverse dal canone. L’ azionista inoltre ha tutto l’
interesse ad avere voce in capitolo nella definizione dei
programmi di servizio pubblico perché anche a quelli si collega la
raccolta pubblicitaria, e quindi vorrà che siano il più possibile
orientati all’ audience indipendentemente dalla qualità del
servizio. E l’ azionista avrà anche qualche ragione per avanzare
pretese in tal senso poiché la Rai, proprio perché può mettere
pubblicità anche in programmi (non tutti) i cui costi sono pagati
dal contribuente, ha un tetto di legge alla raccolta pubblicitaria
più basso di quello delle altre emittenti. O togliete il tetto,
chiederà l’ azionista che è attento ai suoi interessi, oppure
voglio che tutta la programmazione Rai, anche quella pagata dai
cittadini con il canone, sia sensibile alle esigenze della
pubblicità. E’ l’ ambiguità della Rai, sommata alle
caratteristiche anomale del sistema televisivo italiano. Che sono
andate avanti fino ad ora di Mammì in Maccanico e di Maccanico in
Gasparri, per citare solo alcune delle faticose leggi sull’
argomento. Posso prendere atto di questa ambiguità, e come
cittadino conviverci tranquillamente oppure indignarmi
quotidianamente. Posso addirittura sperare che questo ingresso dei
privati nel capitale della Rai possa servire a farne esplodere
finalmente le contraddizioni. Ma, tornando alla domanda iniziale,
da potenziale investitore cosa compro? La risposta dovrebbe
essere: compro la Rai (un pezzettino ovviamente, qualche azione)
sapendo che è un tutt’ uno, ma sapendo anche che sono due cose
diverse ma mischiate che hanno strutture dei costi e dei ricavi
separate, con i ricavi di una parte che però risentono anche dei
comportamenti dell’ altra in un permanente conflitto di obiettivi.
Non è una risposta che fa correre in banca a prenotare le azioni.
Ma mettiamo che la mia determinazione di investitore potenziale
regga e che decida di andare avanti. Alle domande successive non
posso sfuggire: come faccio a valutare il prezzo al quale queste
azioni mi vengono (mi verranno) offerte? Quale sarà il parametro?
Quali certezze ho sulla configurazione e sulle strategie future di
questa azienda? Se non ci saranno risposte credibili a queste
domande, e temo che non le avremo, allora potremo sospettare che
chi andrà a comprare quelle azioni non lo farà sulla base di un
calcolo economico, quello che si dice serve a spingere le
aziende a operare con una logica di mercato. Lo farà per far
piacere a qualcuno, per contare qualcosa, per scambiare qualcosa,
logiche che con l’ efficienza dell’ impresa e la qualità della
gestione non c’ entrano per nulla.

Fonte: Repubblica Affari e Finanza del 4 ottobre 2004

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