• giovedì , 26 Dicembre 2024

Contro la disoccupazione di vuole fantasia

La grande depressione degli anni Trenta venne affrontata in modo diverso dai Paesi totalitari europei e dalla democrazia americana. Quest’ultima ebbe nella esperienza rooseveltiana del New Deal la sua guida di scorrimento, i cui risultati cominciarono però ad incidere soprattutto dal coinvolgimento Usa nel conflitto mondiale. L’Urss di Stalin per attivare la sua industria pesante anche a fini bellici promosse, combinando l’entusiasmo alla repressione, il funzionamento coattivo dei piani quinquennali. L’Italia di Mussolini si affidò alla creazione dell’industria di Stato attraverso l’Iri, supportata da una nuova legge bancaria e degli istituti di credito pubblico. Hitler, alla vigilia e subito dopo il 1933, fece della lotta alla disoccupazione la sua bandiera per l’accesso al potere, attraverso iniziative di clamoroso rilievo propagandistico: dalla creazione dell’Esercito del Lavoro dove venivano reclutati i giovani disoccupati ad una lettera personale da lui indirizzata ad ogni imprenditore, dal grande industriale al bottegaio perché assumesse un giovane privo d’impiego nella sua azienda, prima di lanciarsi nel rilancio del riarmo. È interessante inoltre rammentare che il piano delle autostrade in Germania, concepito dalla Repubblica di Weimar e rallentato dalle pastoie burocratiche, tipiche delle democrazie, fu attuato cancellando ogni remora dal nazismo che lo battezzò come grande opera del regime.
Abbiamo ricordato queste premesse storiche perché esse fanno risaltare in primo luogo i cambiamenti che esse comportarono sui sistemi politici dell’epoca; in secondo luogo come la lotta alla disoccupazione sviluppò iniziative straordinarie che toccarono gli estremi della pianificazione, dalla più autoritaria alla più democratica, dalle trovate demagogico-popolari alle innovazioni di una economia fantasiosa (un certo clamore nell’ultimo dopoguerra suscitò la proposta di un grande economista democratico, Paolo Sylos Labini, di riprendere nell’Italia repubblicana l’idea dell’Esercito del Lavoro). Naturalmente le premesse storiche non sono ripetibili e per certi versi neppure auspicabili, e le richiamiamo solo per sottolinearne la eccezionalità politica che una depressione delle dimensioni attuali, paragonabile anche se in chiave meno macroscopica a quella degli anni Trenta, necessiti. Ma anche iniziative alla nostra portata sembrano difficilmente percorribili. Vediamo, ad esempio, laspending review (in italiano: revisione delle spese) introdotta dal compianto e illuminato ministro Tommaso Padoa Schioppa e dal suo valente capo di gabinetto, l’economista Paolo de Joanna, che avrebbe dovuto comportare il riesame analitico delle specifiche voci di spesa dei bilanci ministeriali, così da introdurre criteri di razionalità sia ai tagli che agli investimenti. Si arrivò a completare 36 voci poi subentrò Tremonti e al ministero del Tesoro i tagli lineari di spesa, più facili da maneggiare, senza entrare nel merito.
Così, come ricorda sul Messaggero Oscar Giannino, a cui le disavventure elettorali non hanno annullato la capacità di una lucida critica economica, la spending review applicata nell’ultimo bilancio del governo inglese ha portato al taglio non lineare di 144mila dipendenti pubblici , scelti oculatamente tra i diversi dicasteri in una forbice tra il 6 e il 10%, compensati da aumenti di bilancio per l’istruzione, la sanità e le infrastrutture. Un quadro, quanto meno comprensibile. Quanto alle ultime misure del nostro governo ve ne sono di apprezzabili (l’utilizzo dei fondi europei per tirocinio formativo al Sud che stavano per essere annullati, aiuti per il sostegno alla povertà) ed altri di cui è ancora in forse l’effettivo utilizzo (decontribuzioni per contratti a tempo indeterminato derivanti da una revisione della Fornero). Non solo siamo lontanissimi dalle grandi misure epocali che pure occorrerebbero, ma non ci avviciniamo neppure alla buona amministrazione britannica.

Fonte: Repubblica del 1 luglio 2013

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