E’ difficile che quest’anno qualcuno abbia qualcosa da obiettare sulle Considerazioni finali del governatore Mario Draghi. In ognuna delle quattro lette negli anni passati c’era stato almeno uno spunto che – pur evitando polemiche dirette, che non sono nello stile dell’istituzione e tanto meno del suo attuale leader – poteva suonare come una critica o una messa a punto rispetto alle versioni correnti. L’anno scorso, per esempio, sul numero di lavoratori che avrebbero potuto subire seri danni dalla fase di crisi, e prima sul Mezzogiorno, o sui rapporti tra banche e clienti.
Quest’anno il cronista non trova passaggi che possano creare particolari dispiaceri, almeno nei dibattiti che alimentano le cronache. Ce n’è semmai uno, di non piccola rilevanza, che sarà al contrario letto con grande soddisfazione dalla cancelliera tedesca Angela Merkel e dagli arcigni guardiani teutonici dei conti pubblici, che su questo problema hanno molto insistito negli ultimi tempi: “E’ urgente un rafforzamento del Patto di stabilità e crescita: l’impegno a raggiungere un saldo di bilancio strutturale in pareggio o in avanzo va reso cogente, introducendo sanzioni, anche politiche, in caso di inadempienze”.
Il bilancio “strutturale” comprende tutto: spesa corrente, spesa per interessi, spesa per investimenti. E dunque questa presa di posizione non è scontata né banale. Sposa la teoria che anche gli investimenti debbano essere finanziati con la spesa corrente, un punto su cui si è molto dibattuto anche negli anni passati. L’altra tesi sostiene che il pareggio di bilancio dovrebbe valere per spesa corrente più interessi, mentre gli investimenti, che servono ad aumentare la competitività del sistema-paese nel medio e lungo periodo – e dunque dovrebbero col tempo ripagarsi – dovrebbero essere considerati a parte. Non è una questione di lana caprina. In una fase in cui l’Italia più degli altri ha bisogno di recuperare competitività, significa che il peso di questo recupero dovrebbe essere sostenuto solo dagli altri fattori, tra cui evidentemente, anche se qui Draghi non lo dice, la moderazione salariale e la flessibilità del lavoro
Per la verità di fattori Draghi ne indica una serie, nella parte in cui parla del nostro paese. Una maggiore partecipazione al mercato del lavoro delle classi più giovani e più anziane e la concorrenza nei mercati dei servizi, innanzitutto. Poi, il recupero dell’evasione fiscale (“Vera responsabile della macelleria sociale: se non fosse così elevata, il nostro rapporto debito/Pil sarebbe tra i più bassi dell’area euro”) e la lotta alla criminalità (“Nelle tre regioni del Mezzogiorno in cui si concentra il 75% del crimine organizzato il valore aggiunto pro capite del settore privato è pari al 45% di quello del Centro Nord). Infine la riforma della pubblica amministrazione e “l’uso efficiente” delle risorse, con l’utilizzo di indicatori di qualità dei servizi e della spesa che, nota il governatore, è già iniziato nella sanità, nella scuola, nella magistratura e in parte nell’amministrazione. Resta il fatto che se bisogna finanziare lo sviluppo con la spesa corrente è difficile che avanzino molte risorse per la spesa sociale.
La vicenda dell’intervento sul mercato dei titoli pubblici da parte della Bce viene trattata con grande abilità diplomatica. “Il Consiglio direttivo della Bce (…) ha ritenuto che fosse a repentaglio il funzionamento dei canali di trasmissione della politica monetaria, che la stabilità del sistema finanziario dell’euro fosse a rischio. La Bce sterilizza questi interventi, che non finanziano i disavanzi pubblici. La sua indipendenza non è in discussione”. Come si ricorderà la decisione di questo intervento, nella fase più acuta della crisi iniziata con la vicenda greca, è arrivata in seguito a un vertice di capi di Stato e di governo il giorno dopo che il presidente della Bce, Jean-Claude Trichet, aveva esplicitamente escluso che si potesse seguire questa strada. Ne era stata tratta da molti commentatori la deduzione che stavolta le pressioni politiche avevano avuto la meglio sull’indipendenza della Bce. Axel Weber, presidente della Bundesbank e candidato a succedere a Trichet, aveva aspramente criticato la decisione, avvalorando questa interpretazione; ma anche, come aveva osservato il Financial Times, danneggiando seriamente le sue possibilità nella successione, dato che la misura era stata ritenuta indispensabile da vari capi di Stato, primo fra tutti il presidente francese Nicolas Sarkozy.
Draghi riesce in un piccolo capolavoro, presentando l’intervento come una necessità tecnica riconosciuta dalla Bce con una sua autonoma valutazione e riaffermandone in questo modo l’indipendenza. Con questo passaggio e con quello sul Patto di stabilità è probabile che le sue chances di insediarsi all’Eurotower di Francoforte siano sensibilmente aumentate.
Neanche il governo italiano può avere motivi di irritazione. Sulla manovra non viene espresso un giudizio esplicito, ma il tono con cui se ne parla è favorevole, con la sola avvertenza, da parte del governatore, di stare bene attenti a realizzare effettivamente il rallentamento della crescita della spesa primaria corrente al di sotto dell’1%, visto che “negli ultimi dieci anni la spesa è cresciuta in media del 4,6% l’anno, aumentando di 6 punti in rapporto al Pil”.
In conclusione, le Considerazioni di quest’anno, svolte in uno dei periodi più neri dell’economia mondiale, sono alla fine improntate ad un cauto ottimismo. Non a caso si concludono ricordando le sfide del passato, definite come a volte più gravi di questa, che l’Italia ha alla fine superato: “Anche la sfida di oggi si combatte facendo appello agli stessi valori che ci hanno permesso insieme di vincere le sfide del passato: capacità di fare, equità; desiderio di sapere, solidarietà. Consapevoli delle debolezze da superare, delle forze, ragguardevoli, che abbiamo, affrontiamola”.
Considerazioni “alla tedesca”
Commenti disabilitati.