«La crisi ci ha ricordato in forma brutale l’importanza dell’azione comune, della condivisione di obiettivi, politiche, sacrifici». Il Governatore della Banca d’Italia, batte a lungo sul tasto della cooperazione, della condivisione, dell’esigenza di far leva su valori come equità e solidarietà. Nelle 18 cartelle scarse delle sue Considerazioni finali lette di fronte ai “signori partecipanti”, Mario Draghi fa più volte appello a quelle virtù nazionali che in 150 anni di vita hanno cementato il paese nei momenti più difficili. Cita la battaglia per l’alfabetizzazione, la più grande delle riforme strutturali mai realizzate, ricordando che nel 1860 il 75% degli italiani non sapeva nè leggere nè scrivere e che l’aver conseguito un’istruzione di livello europeo è stata alla fine la scintilla che ha innescato il miracolo economico, nel dopoguerra.
Cita anche il 1992, l’anno dell’Italia sporta sul “baratro”, quando Draghi era direttore generale del Tesoro e l’Italia dovette affrontare una crisi ben più grave di quella che ha travolto la Grecia: presentò un piano di rientro severo, condiviso e, soprattutto, credibile, e la battaglia del risanamento fui vinta, senza bisogno dell’aiuto di nessun deus ex machina esterno.
Le parole del Governatore certamente hanno molti echi ciampiani, non solo per il saldissimo ancoraggio all’Europa (dall’euro non si torna indietro) ma proprio per la tensione morale (Draghi evoca la battaglia per la legalità, la lotta all’evasione e alla corruzione che sono un grave freno alla crescita) e per la fiducia nelle storiche capacità degli italiani di sapersi trarre d’impaccio tutti insieme, Nord e Sud.
Quale sia la sfida dell’oggi, del resto, è ampiamente noto: si tratta di riuscire a coniugare la disciplina di bilancio con il ritorno allo sviluppo economico. Draghi non spreca troppi numeri: si limita a ricordare che tra il ’97 e il 2007 la produttività del lavoro in Italia è salita del 3% contro il 14% di Eurolandia; che l’economia italiana è cresciuta in quel periodo del 15% contro il 25% del resto dell’area e che il tasso di occupazione degli italiani in media è al 57% contro il 64% della media euro.
Per i giovani le cose vanno molto peggio perchè sono loro, ripete Draghi «le vere vittime di questa crisi». Una ripresa troppo lenta, infatti, accrescerebbe proprio per i giovani la probabilità di una disoccupazione persistente e questo finirebbe per condizionare la loro intera vita professionale, determinando uno status di reddito più basso per un’ intera generazione. Per l’Italia, paese invecchiato ma dalle molte risorse, la prima sfida è quindi ridare spazio allo sviluppo, costruendo un futuro per i figli.
Condivisione, equità e solidarietà le parole chiave di Draghi
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