La crisi fa impennare del 37,6% i debiti pubblici dei paesi del G20 al 2015. Che fare? Ne hanno discusso il Director of Fiscal Affairs dell’Fmi, Carlo Cottarelli, e alcuni autorevoli economisti. Le strategie sono controverse e per l’Italia il sentiero da seguire è stretto e difficile.
Tra il 2007 e il 2015 il Fondo monetario stima un’impennata del debito pubblico dei paesi del G20 di bel il 37,6% (e grazie soprattutto ai paesi emergenti che abbassano la media). E’ uno dei dati su cui si è discusso in un seminario all’università di Roma La Sapienza a cui è intervenuto Carlo Cottarelli, Director of Fiscal Affairs del Fondo. Le preoccupazioni per il debito derivano da due possibili rischi. Il primo è quello di una crisi finanziaria, sempre possibile, che potrebbe far crescere rapidamente i tassi a cui i vari paesi possono indebitarsi e creare così un avvitamento che potrebbe portare anche a default, ossia l’impossibilità (o il rifiuto) da parte di questi paesi di rimborsare i creditori. Il secondo è quello di una “sindrome giapponese”, cioè un periodo anche molto lungo di crescita prativamente piatta.
Secondo alcuni studi, ha ricordato Cottarelli, un livello di debito elevato riduce le capacità di crescita. Già da un rapporto debito/Pil oltre il 30% si sentirebbero i primi effetti, che diventerebbero sensibili quando il rapporto supera il 90%. Il che, ricordiamo per inciso, rappresenta la condizione attuale o dell’immediato futuro per quasi tutti i paesi europei e per gli Usa, mentre il Giappone viaggia ormai oltre uno stellare 200% del Pil.
Sul fatto che la relazione tra alto debito e bassa crescita sia comprovata si sono però dichiarati scettici vari degli economisti presenti, tra cui Luigi Spaventa e Antonio Pedone. Sandro
Momigliano, della Banca d’Italia, ha proposto una spiegazione più articolata. Il debito, ha osservato, si può formare per varie ragioni, alcune delle quali non negative, come ad esempio massicci investimenti in infrastrutture che aumenteranno l’efficienza del sistema-paese. E’ invece del tutto negativo quando la crescita è dovuta a una spesa eccessiva rispetto alle entrate perché – di solito – la politica non trova un punto di equilibrio e risolve l’impasse scaricando il peso sulle generazioni future. Ma se questo avviene è il segnale di un malessere generale, e dunque anche la bassa crescita è probabilmente provocata da questo cattivo funzionamento del paese nel suo insieme. L’Italia, comunque, ha aggiunto Momigliano, per arrivare al pareggio primario nel 2016 dovrebbe bloccare in termini reali la spesa corrente nell’ipotesi di una crescita media del Pil al 2%, oppure, nell’ipotesi purtroppo più probabile di un Pil medio all’1%, dovrebbe ridurla dell’1% (sempre al netto dell’inflazione) ogni anno.
Ipotesi assai problematica secondo Giuseppe Pisauro, che ha ricordato come negli ultimi 15 anni la spesa pubblica corrente è salita invariabilmente del 2% reale l’anno. Sarà già un bel problema rispettare le nuove regole del Patto di stabilità europeo, che prevedono una riduzione di un ventasimo l’anno della parte di debito che eccede il rapporto del 6o% del Pil. Posto che previdenza e sanità valgono all’incirca metà della spesa, e su quelle non c’è più nulla da tagliare e anzi il confronto con gli altri paesi delle proiezioni a lungo termine ci vede tra le migliori posizioni, se si azzerasse l’aumento di tutto il resto otterremmo quell’aumento dell’1% reale di spesa che ci permetterebbe di arrivare a un rapporto debito/Pil dell’80% entro il 2033. E comunque, ha chiosato Spaventa, non è il caso di concentrare tutta l’attenzione sul debito pubblico: il Giappone con il suo mega-debito non è in crisi mentre paesi come Spagne e Irlanda, che oggi sono decisamente messi male, fino a ieri ci venivano additati come esempio di virtù proprio per i loro ridotti debiti pubblici.
Come se ne esce? Nessuno si è azzardato a dire di avere la soluzione in tasca. Ma Pisauro ha indicato come possibilità – alla quale al momento non si vedono molte alternative – la raccolta di risorse con l’emissione di euro-bond (cioè titoli di debito garantiti dall’Unione europea), idea già più volte proposta in passato e rilanciata di recente da Giulio Tremonti e dal presidente dell’Eurogruppo Jean-Claude Juncker. La responsabile della gestione del nostro debito pubblico, Maria Cannata, si è detta d’accordo, ricordando come oggi la prima emissione di euro-bond di uno dei fondi anti-crisi varati dall’unione abbia suscitato fin dall’apertura una valanga di richieste, 45 miliardi nel primo quarto d’ora. “Segno che il mercato sarebbe favorevole a questa ipotesi”, ha concluso Cannata.
“Con troppi debiti non si cresce” il rebus delle economie in crisi
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