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Con Napolitano rivive l’epoca di Benedetto Croce

Nella stagione dominata dal web sopravvivono, tuttavia, scrittie discorsi che solo una minoranza arriva a leggere e a nutrirsene, così come un tempo i cosiddetti “classici” arricchivano la formazione culturale ma anche spirituale ed emotiva della gioventù studiosa. Un insperato ritorno all’ atmosfera di quei tempi, a quel rapporto preciso e consapevole tra la parola ed il pensiero, è stato regalato ai superstiti di quell’ epoca dal discorso di Giorgio Napolitano il 22 novembre a Napoli in commemorazione di Benedetto Croce, a sessant’ anni dalla scomparsa. Forse la più bella orazione che il nostro Presidente abbia pronunciato nella sua lunga carriera. Ma quel che la impreziosisce è il rivivere del pensiero politico crociano o, meglio, di quella sua parte che si manifestò nell’ arco di quasi dieci mesi, dalla caduta di Mussolini e del regime fascista alla liberazione di Roma. È in quel periodo “il più tormentato e drammatico della storia d’ Italia, che la personalità di Benedetto Croce si dispiega in tutta la sua ricchezza… A partire dal 25 luglio, è un succedersi incalzante di eventi che scuotono la compagine nazionale nel tragico scenario di una guerra che ha seminato e continua a seminare distruzione, morte, miseria, privazioni… A tutto ciò Croce reagisce… mettendo in campo riserve insospettabili di energia e determinazione, così da farsi protagonista politico, sapiente e decisivo, di una fase cruciale della vita nazionale”.E le parole di Napolitano s’ incrociano con quelle di Croce ed è tutto un drammatico inseguirsi di narrazioni, di bombardamenti, di fughe lungo le Isole del Golfo, rievocate dai due personaggi che potrebbero sembrarci coetanei per i contenuti e la forma dei loro pensieri, ma non lo sono affatto: Giorgio aveva 20 anni (ci eravamo appena conosciuti nella casa avita di via Monte di Dio) e don Benedetto ne compiva allora 78. Ed è riandando a quella singolare coincidenza virtuale che mi viene da pensare alla fortuna del “tempo unico” vissuto dalla mia generazione, a quel coagularsi di una esperienza in cui saggezza storica e passione patriottica si fondevano in una temporalità la cui dimensione ci apparirà in prospettiva nella sua concreta realtà solo col passare dei decenni… Così quando oggi riscontriamo tanta passione negli appelli di Napolitano al Parlamento, come non sentire l’ assonanza con le citazioni crociane che ci appaiono quasi fossero pronunciate ieri? “Sono stato sveglio per alcune ore, tra le 2 e le5- ricorda Croce nella notte del 25 luglio – sempre fisso nel pensiero che tutto quanto le generazioni italiane avevano da un secolo in qua costruito politicamente, economicamente e moralmente è distrutto, senza rimedio. Sopravvivono solo nei nostri cuori le forze ideali con le quali dobbiamo affrontare il difficile avvenire senza più guardare indietro, frenando il rimpianto”. E non trovo sforzato o stravagante scivolare mentalmente tra passato e presente e vivere i timori del tempo che fu con gli interrogativi sul futuro dell’ Italia d’ oggi; sì che le odierne speranze, scaturite dal decadere di un altro regime vergognoso, risuonino in quelle che si ridestarono alla caduta del fascismo. “Il senso che provo – evoca ancora Croce – è della liberazione da un male che gravava sul centro dell’ anima: restano i mali derivati e i pericoli ma quel male non tornerà più”. Anche l’ ultimo periodo della vita del filosofo viene rammentato dal Presidente con nobiltà d’ impegno, ripercorrendo il discorso sull’ amor di patria: “Forse il pensiero della patria…. tornando vivo e puro nei cuori, renderà più agevole la necessaria concordia nella discordia dei partiti politici… che in avvenire… si combatteranno lealmente; perché tutti essi, come terranno sacra la libertà, loro comune fondamento, così avranno dinanzi agli occhi l’ Italia…e nel bene dell’ Italia troveranno di volta in volta il limite oltre il quale non deve spingersi la loro discordia”.

Fonte: Repubblica del 26 novembre 2012

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