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Come trasformare la moneta della BCE in investimenti ed occupazione in Italia

L’Italia ha 4 buone opportunità nel 2015 che potrebbero davvero cambiare qualcosa nella sfortunata piega delle vicende economiche del Paese e rimettere in moto la crescita.

La prima è il calo del prezzo del petrolio. Solo 24 mesi fa era quotato 100 dollari al barile, oggi viaggia sotto ai 50 dollari, una riduzione del 50% che nei prossimi mesi si trasferirà all’economia. Da noi il trasferimento non è così rapido come negli Stati uniti per colpa delle imposte e delle accise sulla benzina e sui prezzi dei combustibili industriali, ma avverrà consentendo una boccata d’ossigeno alle famiglie (che pagheranno meno il costo dell’energia) ed alle imprese (che vedrano ridursi la voce “costi”dei loro bilanci).

La seconda è la svalutazione dell’Euro. Fino ad un anno fa quotava il 20% in più e per un’economia italiana che misura in dollari il 60% le esportazioni al di fuori dell’area euro, l’indebolimento dell’euro spingerà ancora di più le esportazioni, più che compensando il maggior costo delle importazioni. Inoltre, la rivalutazione del dollaro, assecondata anche dalla Fed che ha annunciato un prossimo aumento dei tassi, favorirà maggiori investimenti verso l’Europa, Italia compresa.

La terza opportunità è la decisione della BCE di stampare moneta ed allentare le condizioni creditizio nelle 15 aree dell’Europa monetaria. L’effetto indebolirà ulteriormente la svalutazione dell’Euro e metterà nelle casse delle banche italiane circa 300 miliardi di euro destinari a prestiti a famiglie ed imprese.

La quarta opportunità è data dalla flessibilità concessa all’Italia dalle istituzioni di Buxelles per finanziare investimenti pubblici in deroga ai vincoli europei all’aumento della spesa in deficit. Avremmo voluto l’esenzione totale degli investimenti pubblici dal calcolo del deficit del 3% fissato dali Trattati e dalle direttive di attuazione dell’europa monetaria. Abbiamo ottenuto che la deroga avverrà al 50% della spesa, solo per la parte di co- finanziamento che l’Italia mette a fianco dei finanziamenti europei su progetti ben definiti e sostenibili.

A questa decisione si accompagna anche il Piano europeo di investimenti di 300 miliardi, il cosiddetto “Piano Junker”, frutto del semestre italiano della presidenza Europea di Renzi che, seppure finanziato con importi minimi dai fondi comunitari, aggiungerà comunque risorse destinate a finanziare investimenti delle imprese, anche italiane.

Abbiamo in sintesi un circuito virtuoso ideale costituito da 4 poli,che potrebbe essere attivato.

La sfida vera è fare in modo che la scintilla scocchi tra i 4 poli, cioè che le imprese, alle quali sono rivolte tutte queste risorse, le investano. E come fare in modo che le famiglie, consumino. In sintesi, come collegare tutte queste opportunità positive per far fluire questa massa di denaro nelle mani dei soggetti che possono chiederlo e spenderlo.

Se lo si chiede a Fracoforte la BCE), a Bruxelles (la Commissione Ue) a Parigi ( l’Ocse) a Washington ( FMI) o a Roma ( Renzi), la risposta è una sola: “ riforme”, intendendo con ciò le modifiche al funzionamento del Paese che rimuovano gli ostacoli alle decisioni di imprese e famiglie.

Il fatto è che la parola riforme è semplice, omnicomprensiva, elegante da pronunciare, politicamente corretta , ma al dunque pochi hanno le idee chiare: quali riforme e per fare cosa?

Innanzitutto chiariamo un punto positivo a favore dell’Italia. Fino a circa cinque anni fa la parola “riforme” era associata principalmente all’economia. Le riforme erano soprattutto riforme delle pensioni, della finanza pubblica, della concorrenza, dei mercati finanziari, del mercato del lavoro, della legislazione sulle opere pubbliche. La convinzione era che bastasse sciogliere questi nodi e la crescita dell’economia sarebbe stata automaticamente a portata di mano. Non che fosse sbagliato, ma l’esperienza ha dimostrato che fatte molte di quelle riforme ( e certamente altre ne restano da fare) l’economia è rimasta ugualmente al palo, con occupazione ed investimenti in progressivo calo.

Il salto di qualità del quale va dato atto sia alla classe dirigente nazionale, sia politica che economico- finanziaria, è che ora almeno a parole, tutti hanno acquisito il concetto chele riforme di cui il Paese ha bisogno vanno oltre l’economia. E’ inutile ridurre il costo delle nuove assunzioni se non si semplifica l’iter della burocrazia per autorizzare un investimento di una azienda. Quell’azienda non comincerà mai nemmeno i colloqui di assunzione perché investimento non partirà. Ed analogamente, se per recuperare un credito da un cliente fallito, occorre attendere dieci anni una sentenza da un qualsiasi Tribunale della giustizia italiana; o se per partecipare ad una gara pubblica, si deve subire il sorpasso di una cooperativa sociale targata Mafia Capitale,Mose o Genova-Serravalle. O se per avviare una iniziativa nel campo della sanità, energia ed opere pubbliche, occorre destreggiarsi con 20 legislazioni regionali, 81 provinciali o 8000 comunali diverse.

Giusto dunque insistere sulle riforme e soprattutto allargarne lo spettro non più solo all’economia ma alle condizioni generali che favoriscono lo sviluppo delle economia.

Tuttavia tutto questo non basta .

La decisione della Banca Centrale Europea di dare una forte spinta all’economia, con una espansione monetaria ha creato le premesse perché la crescita economica torni ad affacciarsi in Europa. Ma ha anche messo il luce che oltre alle riforme che ogni singolo Paese dovrà continuare a perseguire, sul terreno allargato che abbiamo appena indicato, occorre un ingrediente in più che serve a svolgere la funzione di lievito e di esempio: la fiducia.

La rilettura della Grande Crisi degli anni Trenta e le modalità che furono adottate per uscirne, riportano all’attualità il ruolo dei governi come attivatori dei meccanismi virtuosi della fiducia attraverso gli investimenti pubblici, scintilla in grado di attizzare la fiamma di investimenti anche privati.

Il Governo Renzi, che mostra di avere tenacia nel voler attuare riforme nell’interesse generale senza tentazioni consociative, dovrebbe assumere su di sé l’iniziativa di avviare un Piano Marshal interno incentrato su investimenti in infrastrutture materiali ed immateriali. Dovrebbe individuarne gli obiettivi ed i settori strategici ( molti di questi sono indicati nel piano nazionale di riforme accluso al DEF), indicarne i soggetti pubblici responsabili e chiamare a Palazzo Chigi imprese, sindacati, banche e Banca d’Italia, per annunciarne l’avvenuto. Senza alcuna decisione consociativa da condividere, ma solo con una decisione unilaterale del governo da comunicare. La fiducia si crea realizzando ciò che si è deciso.

Bruno Costi

26/1/2015

Fonte: 26 gennaio 2015

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