«C’è un’ agenda liberale pronta, è qui da noi. Ma sembra che le istituzioni non vogliano averne bisogno». Stefano Micossi sintetizza così il ruolo dell’Assonime, di cui è direttore generale, nella società italiana: un pensatoio in grado di assistere governo e parlamento nel cammino verso un ambiente economico in cui i valori dell’impresa e del mercato siano più tutelati.
Il 22 e il 23 novembre l’Assonime festeggia cento anni di vita. Lo farà con un convegno in cui saranno presentate importanti ricerche storiche sull’economia italiana. Ma quello che più sta a cuore al presidente Luigi Abete e a Micossi è il futuro, la ripresa che non arriva, le riforme che non si fanno, le regole che non danno un quadro di certezze a chi vuole contribuire alla crescita. «A noi spiega Micossi interessa contribuire a dare un assetto robusto al capitalismo italiano. Siamo stati noi a favorire l’affermazione del valore della contendibilità tra forti resistenze, a spingere per la trasparenza e per una migliore governance delle società. Siamo una curiosa istituzione pro-mercato in un mondo che però sembra non volere queste regole».
Nella visione dell’Assonime il declino economico italiano dipende dalle mancate liberalizzazioni, dall’incertezza fiscale, da leggi vincolistiche e disordinate. «Se la grande impresa è scomparsa dall’Italia aggiunge però Micossi lo dobbiamo al sistema di relazioni industriali creato negli anni 70 che le ha messe fuori mercato. Il caso Pomigliano fa emergere drammaticamente la distanza tra quello che dovrebbe essere e quello che è nella realtà uno stabilimento produttivo».
La “ribellione” di Sergio Marchionne alla sciatteria dell’impianto campano può dunque essere un simbolo. Che tuttavia ha bisogno di un contorno importante: un quadro di regole nuove in cui l’impresa e il mercato possano funzionare nel modo più efficiente.
Cento anni di Assonime, per dire no al declino
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