• lunedì , 23 Dicembre 2024

C’è un Nordest oltre il mito

Con la sortita padovana di Romano Prodi alla presentazione del Rapporto Nord Est il dibattito sul futuro dell’industria veneta può fare un passo in avanti. L’ex presidente del Consiglio non solo è un economista industriale di lungo corso ma abbandonata la politica attiva ha l’occasione di girare per il mondo e di seguire de visu le evoluzioni dell’economia cinese. Quindi le sue osservazioni valgono doppio. Va, dunque, davvero archiviato – come ha chiesto a Padova Prodi – il «mito del Nordest»?
E’ chiaro che oggi ad anni ed anni di distanza il riferimento più interessante non è tanto al «mito » bensì alla situazione che si è andata a creare nel tempo e alle modalità con le quali il Nordest ha affrontato/ reagito alla Grande Crisi. La conclusione di questa sorta di nota metodologica non può che portare a sostenere che esistono comportamenti delle imprese assai differenti tra loro e che una riduzione ad unum del Nord Est forse spiega poco. Perché assodato che un pezzo del sistema delle imprese fatichi ancora a far evolvere la propria cultura e resti dunque dentro «la ricetta e il mito delle origini», l’innovazione è più estesa di quanto a prima vista possa sembrare. Di continuo le cronache segnalano esperimenti di singole aziende o di un gruppo di esse che si sforzano di aprire strade nuove in questa o in quella direzione. Penso alla riorganizzazione delle filiere, all’adozione della cultura della lean production, al dibattito sul superamento dei capannoni, all’ingresso di professionisti indipendenti nei Cda familiari, alla capacità di creare reti lunghe e via di questo passo. Se Prodi forse sottostima queste novità, ha sicuramente ragione in almeno due osservazioni di merito, quelle che riguardano il basso tasso di investimento in ricerca e la lentezza nelle aggregazioni. Viene da chiedersi perché ad esempio le grandi associazioni di rappresentanza di Treviso, Vicenza, Verona, Padova in questa tornata assembleare non abbiamo fatto della crescita dimensionale un tratto unificante della loro proposta, quasi un fil rouge. Delle affollate riunioni delle settimane scorse cosa resta? Forse l’immagine del corteo degli imprenditori trevigiani, una sfilata che esprimeva sicuramente un disagio ma che rilevava anche una preoccupante afasia. Le vie dell’aggregazione sono difficili da battere, però, il Nordest per uscire dal suo mito dovrebbe creare nel giro di poco tempo un cospicuo numero di nuove medie imprese. Si utilizzino le reti, le acquisizioni o il merger poco importa ai fini di questo discorso, l’importante è che si proceda a creare soggetti più robusti, capaci quindi di investire in ricerca/innovazione e di internazionalizzarsi.
Ma se portiamo, sulla scia di Prodi, la riflessione sui processi di rispecializzazione e irrobustimento delle imprese venete, non si può scansare il nodo del rapporto tra Nord Est e Milano. Se fosse possibile avere una visione aerea si vedrebbe come l’intero Settentrione è ormai un unico flusso di persone e merci. E, come dicono i sociologi, «a mezzogiorno tutto il Nord è a Milano». La città del Duomo volenti o nolenti attrae decisioni per le grandi banche che ospita ma anche perché possiede quel terziario avanzato che è decisivo per i processi di innovazione delle piccole e medie imprese. Purtroppo però tra Milano e i territori del Nord non è partito quel processo di riconoscimento che avrebbe dovuto portarli a marciare di comune accordo. Le colpe sono sicuramente più di Milano che del Nord Est, «la capitale del Nord» in questi anni non è riuscita a capire la realtà dei Piccoli, si è trincerata dietro le accuse di «nanismo», non ha elaborato un software adeguato. Ma c’è modo e tempo di recuperare. Basta volerlo

Fonte: Corriere della Sera del 14 luglio 2011

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