• venerdì , 1 Novembre 2024

C’è il rischio di uno choc globale?

È necessaria la completa attuazione del piano di salvataggio della Grecia Timothy Geithner, segretario al Tesoro Usa.È fissata per il due di agosto la scadenza entro la quale il Congresso e la Casa Bianca devono raggiungere un accordo per alzare il tetto del debito pubblico. In mancanza di un’ intesa, nei giorni successivi (benché non subito) l’ America rischia di dover sospendere i pagamenti federali: per l’ economia sarebbe uno choc.Nei primi anni 90 il presidente Clinton dovette rinunciare alla riforma sanitaria Com’ è possibile che la «fortezza» America – il Paese che fino a ieri appariva non solo il più solido economicamente ma anche quello politicamente più stabile, con un forte sistema istituzionale e un presidente con ampi poteri – sia arrivata fino al punto di dover contemplare apertamente un’ ipotesi di «default» sul suo debito? Che debba tremare per la riapertura dei mercati finanziari dopo un weekend di negoziati politici includenti? La risposta, oltre che nell’ aggravamento dell’ emergenza debito, va cercata in una radicalizzazione della lotta politica che supera perfino quella registrata nei primi anni 90 tra la presidenza del democratico Bill Clinton e la destra ideologica guidata dallo «speaker» della Camera Newt Gingrich che, conquistata la maggioranza al Congresso, pose l’ assedio alla Casa Bianca. Si sa come andò: Clinton dovette rinunciare alla riforma sanitaria e fu addirittura costretto ad abbassare per qualche giorno la «saracinesca» del governo. Ma gli americani punirono i repubblicani per queste forme estreme di lotta politica e due anni dopo confermarono Clinton alla Casa Bianca con un voto a valanga. Una lezione che il capo della nuova maggioranza repubblicana alla Camera, John Boehner, ha sempre avuto ben presente. Anche per questo si riteneva che avrebbe trovato il modo di disinnescare la mina del tetto del debito federale con largo anticipo. Non c’ è riuscito perché quello che fin qui è stato sempre considerato un problema tecnico (nei suoi anni alla Casa Bianca, Ronald Reagan alzò il limite dell’ indebitamento del Tesoro per ben 18 volte) è stato trasformato dalla destra radicale dei «Tea Party» in una battaglia di bandiera. Una sfida utile per mostrare che sul bilancio si fa sul serio e anche per tenere il fiato sul collo di un presidente che si vuole cacciare a tutti i costi dalla Casa Bianca nelle elezioni del novembre 2012. Anche i repubblicani moderati vogliono liberarsi di Obama, ma nei momenti cruciali sono stati sempre pronti a lavorare anche coi democratici sulla base di alcuni valori comuni condivisi. Il «corto circuito» di questi giorni deriva dal fatto che la destra radicale non teme il «default» che considera un vantaggio per sé, mentre per il Paese, se è un guaio, ha comunque conseguenze meno gravi di quelle di una permanenza di Obama al potere. Quanto ai valori comuni, non solo i «Tea Party» ne hanno ben pochi coi democratici, ma spesso accusano l’ «establishment» repubblicano di aver tradito le idee conservatrici. Ad esempio quando, con Bush, è stata adottata una linea di grande lassismo nel campo della spesa pubblica. Sono argomenti che hanno avuto un certo successo in un elettorato conservatore deluso dall’ ultima presidenza repubblicana e impaurito dal «superdebito». Così, coi radicali che minacciano tutti gli esponenti di destra che li ostacolano di scatenare loro contro, alle elezioni primarie nei loro collegi, orde di candidati dei «Tea Party», i margini di manovra dei moderati nel partito si sono man mano ridotti. Alla fine anche Boehner, coi radicali che hanno già appiccato il fuoco nel suo collegio elettorale, ha fatto un passo indietro. Suscitando l’ ira di Obama che ora lo accusa di non avere leadership.
La destra radicale dei «Tea Party» ha messo in campo un suo progetto di legge alternativo Niente accordo, almeno per ora, e ognuno per la sua strada, ma la proposta del capo della maggioranza repubblicana alla Camera, John Boehner, non viene accettata dalla sinistra e soprattutto dalla Casa Bianca perché offre un sollievo solo momentaneo e costringerebbe Obama a rinegoziare di nuovo l’ aumento del debito fra sei mesi, in piena campagna elettorale. Ma anche la proposta di Harry Reid, il capo dei senatori democratici, incappa nel veto dei conservatori che non vogliono concedere al presidente mano libera sull’ aumento dell’ indebitamento fino alla fine dei suo attuale mandato (gennaio 2013) e non credono che i tagli di spesa proposti (2.700 miliardi senza toccare pensioni e sanità né aumentare le tasse) possano diventare reali. Intanto sullo sfondo si agita la destra radicale dei «Tea Party» che ha messo in campo un suo progetto di legge alternativo sul quale ha già ottenuto il consenso di cento deputati. Una «misura-cerotto» alla quale ricorrere se non verrà aumentato il tetto del debito federale per obbligare Obama a utilizzare le poche risorse che gli rimarrebbero per pagare le pensioni e i creditori. Un tentativo di evitare una rivolta di 50 milioni di pensionati contro i repubblicani, non certo di evitare uno scenario apocalittico: il governo, nota la Casa Bianca, a quel punto dovrebbe smettere di pagare l’ Fbi, le guardie di frontiera e i controllori del traffico aereo, con le conseguenze immaginabili. Ma vediamo più in dettaglio le due proposte principali. Piano Boehner Prevede una manovra in due tempi per ridurre le spese di circa tremila miliardi di dollari nell’ arco di dieci anni. Subito tagli per 1,2 trilioni di dollari sui quali la commissione «bipartisan» guidata dal vicepresidente Biden ha da tempo trovato un sostanziale consenso. Con un parallelo, immediato, aumento del limite all’ indebitamento del Tesoro di 900 miliardi di dollari. Obama vorrebbe un incremento di 2,4 trilioni che gli consentirebbe di arrivare fino a fine legislatura senza ulteriori patemi d’ animo. Boehner sostiene, invece, che la seconda «tranche» del tetto (1.500 miliardi) verrà solo all’ inizio dell’ anno prossimo e solo se nel frattempo l’ apposita «supercommissione» bipartisan insediata per risanare il bilancio federale avrà concordato tagli per altri 2000 miliardi. Piano Reid Il leader dei democratici al Senato propone, invece, una manovra meno incisiva (2.800 miliardi) ma da realizzare in un colpo solo, senza aumentare il prelievo fiscale (come chiedono i repubblicani) e senza sacrifici su pensioni e sanità (respinti dalla sinistra). L’ uovo di Colombo? Non proprio visto che i repubblicani (e non solo loro) non credono che sia possibile realizzare tagli così profondi senza toccare la spesa sociale, ma solo quella discrezionale, una fetta limitata del totale. Mille miliardi di risparmi, ad esempio, dovrebbero venire dalla riduzione della presenza militare Usa in Iraq e Afghanistan. Ma si può mettere in bilancio un ritiro delle truppe? RIPRODUZIONE RISERVATA * * * Conti pubblici Il debito La finanza Wall Street sospende il giudizio e crede in un mini-accordo La credibilità Secondo gli analisti i danni di credibilità prodotti da questa estenuante battaglia politica non saranno piccoli né momentanei «Non c’ è stato panico sui mercati né il crollo temuto da qualcuno, ma senza accordo sul tetto del debito federale l’ America cammina sul filo del rasoio. I repubblicani che hanno messo Obama con le spalle al muro non si rendono pienamente conto dei rischi che stiamo correndo» spiega Zachary Karabell, uno dei più ascoltati analisti di Wall Street. Il «default» non arriverà domani né il 2 agosto perché, anche in caso di mancato aumento del tetto del debito, prevedono gli operatori, Obama di certo ordinerà di dare priorità al pagamento dei creditori; le entrate quotidiane del Fisco saranno utilizzate in primo luogo per pagare gli interessi sul debito. «C’ è ancora una finestra ma è molto piccola», nota il capo del fondo obbligazionario Pimco, Mohamed El-Erian, secondo il quale si va verso un compromesso di breve periodo che indebolirà la Borsa e il dollaro ed esporrà il debito pubblico Usa ad un «pericoloso declassamento». Per adesso i mercati mantengono un’ intonazione negativa, ma, di fatto, sospendono il giudizio. Nessuno – aggiungono gli esperti di Eurasia Group – crede davvero che si arriverà al «default», che il Congresso non troverà alla fine almeno un miniaccordo. Ma i danni di credibilità prodotti da questa estenuante battaglia politica non saranno piccoli né momentanei. Al di là di quello che si è visto ieri – Wall Street in calo, ma meno delle Borse asiatiche ed europee, mentre il dollaro ha perso marginalmente terreno – è chiaro che un mancato accordo a Washington avrà conseguenze profonde e non solo limitate agli Stati Uniti. Qualcuno sostiene che sia necessario uno «choc esterno» indotto da una brusca reazione dei mercati per indurre il Congresso a uscire dall’ «impasse» e decidere. Ma gli «choc» sono pericolosi: «Perdere la fiducia è assai facile, ricostruirla è un processo lungo e faticoso» dice Karabell. L’ agenzia di «rating» Standard & Poor’ s ha già avvertito che le possibilità di una revisione al ribasso nei prossimi tre mesi del voto massimo di affidabilità, la tripla A, di cui godono da tempo immemorabile i titoli del Tesoro Usa è salita al 50 per cento. E il capo della divisione «debito sovrano» di S&P, Dave Beers, ha spiegato alla rivista Atlantic che la vera preoccupazione dell’ agenzia non è il tetto del debito, ma la capacità del sistema politico Usa di trovare soluzioni ai problemi sul tappeto. Mentre Paesi che non hanno la potenza economica degli Stati Uniti, come Canada e Francia, mantengono il rating AAA perché mostrano di avere una strategia per governare i loro problemi, gli Usa in questo momento sono impantanati in mezzo a un guado: «Da àncora del mondo, stiamo diventando un fardello per gli altri» nota sconsolato Karabell. Un «downgranding» di Washington, infatti, potrebbe innescare una reazione a catena: se aumentano i tassi per quello che è stato fin qui il Paese di riferimento per tutti – dicono gli operatori – è probabile che l’ incremento si rifletta anche sugli altri.

Fonte: Corriere della Sera del 26 luglio 2011

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