Leconomia italiana se la passa male, non cè dubbio. Ma il giornalismo economico non sta molto meglio. La sua malattia si chiama catastrofismo. Una sindrome caratterizzata da sintomatologia ossessiva: ossessione per le graduatorie in generale, spiccata propensione per le graduatorie nelle quali lItalia fa la parte, come si dice in gergo, del
Prendiamo il mantra dellItalia ultima in competitività che viene recitato ogni anno a caratteri cubitali allorché il World economic forum di Ginevra pubblica la sua classifica internazionale. Nel 1995 eravamo trentesimi (
Non è un caso che nessuno dei grandi paesi europei sia mai comparso nelle prime dieci posizioni della graduatoria. Nel 2004 la Francia era al 27mo posto, la Germania, al 13mo. E comunque è realistico pensare che tra Italia da una parte, Francia e Germania dallaltra ci sia un differenziale di competitività così ampio? Se fosse così dovremmo avere fatto già bancarotta.
Allossessione per le graduatorie plumbee (
Tra i maggiori paesi industriali lItalia infatti ha la migliore distribuzione del reddito. Nella graduatoria della quota di reddito assorbita dal 10% più ricco della popolazione lItalia è al 22mo posto, gli Usa al terzo, il Regno Unito al quinto, la Spagna al decimo, Francia e Germania rispettivamente al 12mo e al 16mo. In campo tecnologico non è vero che siamo messi così male: siamo sesti in Europa per numero di imprese biotech, terzi per utilizzatori di internet, quinti per numero di service providers. Quanto alla leggenda secondo cui Microsoft non avrebbe potuto nascere in Italia (
Il diffuso pessimismo con cui il giornalismo economico guarda alle vicende macroeconomiche nazionali produce talvolta esiti paradossali e spinge i governanti ora di destra ora di sinistra a perorare un po più di fiducia. Nel 1995, lanno che sarà archiviato come il più brillante della recente storia economica nazionale (più 3,4% il Pil in media annua), sulla stampa apparivano titoli di questo tenore: Il boom freddo. Industriali, sindacati ed economisti cauti sul balzo del 4% del Pil (Corriere della Sera, 7 luglio 95) Oppure: Leconomia tira, ma non troppo (ibidem, 23 agosto 95). Tanto che il presidente del Consiglio dellepoca, Lamberto Dini, durante una conferenza stampa a Washington invitò i giornalisti a moderare il loro pessimismo e pronunciò la celebre frase:
Altrettanto paradossale è la differenza di toni con cui la stampa economica osserva le vicende macroeconomiche e quelle di finanza aziendale. Nei giorni in cui le prime pagine erano dominate dal crollo competitivo segnalato dal Wef, Il Sole 24 Ore pubblicava una tabella sulle brillanti prospettive di 40 titoli di borsa (positive in 34 casi, neutrali in 4 negative solo in due, Il Sole, 21/02/05). In genere le pagine finanziarie e di cronaca aziendale sono dominate dal segno più (più utili, più fatturato eccetera). Il che porta a una rappresentazione delleconomia nazionale schizofrenica, con il paese sullorlo del baratro e le imprese che tuttavia si arricchiscono. Peraltro, anche i cittadini appaiono ricchi, se è vero che a fronte di un debito pubblico pari al 106% del Pil, la ricchezza finanziaria delle famiglie supera il 200% (Bollettino economico, Banca dItalia, marzo 05).
Una seria analisi delle ragioni della sindrome ossessivo-catastrofista del giornalismo economico italiano non è stata ancora fatta. Ma si potrebbero abbozzare alcune ipotesi: Da una parte, la considerazione di sufficienza con cui nel mondo giornalistico italiano si è tradizionalmente guardato agli
Catastrofismo in Prima Pagina? Per la stampa economica è snob
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