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Caro Presidente sulla Fiat (e altro) sbaglia

Con tutta la stima dovuta alla persona e con il rispetto per il suo ruolo istituzionale ci permettiamo di esprimere qualche dubbio sugli interventi del Presidente della Repubblica in materia di lavoro.
Ovviamente, in ogni occasione il Capo dello Stato si è comportato con la signorilità e con lo stile che lo contraddistinguono, misurando attentamente le parole; ma i fatti hanno mandato dei messaggi molto chiari in un senso che oseremmo definire unico.
Nel corso del 2010, il Capo dello Stato, avvalendosi delle sue prerogative, è intervenuto in due occasioni: a fine marzo con il rinvio alle Camere del “collegato lavoro” accompagnato da una robusta ed ampiamente motivata critica alla norma sulla conciliazione e l’arbitrato; in piena estate, rispondendo con una tempestività inusuale alla lettera indirizzategli dai tre dipendenti della Fiat di Melfi, licenziati dall’azienda e reintegrati ai sensi dell’articolo 28 dello Statuto dei lavoratori e lasciando intendere, sia pur con garbo e correttezza, una critica alla linea di condotta del Lingotto (per inciso è appena il caso di ricordare che di quella vicenda a suo tempo suscitatrice di un dibattito avvelenato, oggi non parla più nessuno).
In ambedue i casi, pur diversi tra di loro, esiste un tratto comune: il presidente della Repubblica intervenne con modalità ed argomenti che nei fatti rimettevano, in quel momento, in gioco le posizioni di quella parte del sindacato che si sottraeva e si sottrae ad ogni tentativo di innovazione delle relazioni industriali e del diritto del lavoro.
Così è stato nella vicenda dell’arbitrato, a cui la Cgil si era opposta con una pregiudiziale ideologica ispirata ad una concezione prettamente statualistica del diritto, mentre gli altri sindacati e le associazioni datoriali avevano condiviso il progetto del governo, considerando che dall’introduzione di strumenti di risoluzione stragiudiziale delle controversie attraverso la contrattazione collettiva venissero solo dei vantaggi e delle opportunità in più per i lavoratori.
Il messaggio di rinvio alle Camere ha sicuramente consentito un riesame più attento del provvedimento, ma ha reso necessarie altre tre letture di un progetto di legge prima di essere approvato in via definitiva.
Nonostante il riesame e le modifiche più garantiste introdotte la posizione della Cgil non è cambiata, tanto da far ritenere che le difficoltà operative saranno tantissime, privando così, nei fatti, i lavoratori di procedure conciliative ed arbitrali che fanno da secoli parte organica dei sistemi maturi di relazioni industriali.
La risposta – ad horas – alla lettera dei lavoratori di Melfi fu ancor più discutibile.
Nel metodo e nel merito.
Per quanto riguarda il primo aspetto, è appena il caso di far notare che le sentenze vanno applicate fino in fondo.
La Fiat sosteneva di aver tenuto una linea di condotta coerente con la giurisprudenza della Cassazione e con la prassi da sempre seguita nei casi di reintegra disposta dal giudice.
Aveva ragione?
Aveva torto?
In quei giorni in tanti si sbracciavano a blaterare di Costituzione violata, di Statuto dei lavoratori fatto a pezzi.
Alla fine, se ben ricordiamo, il giudice, dopo aver esaminato il ricorso dei legali della Fiom per accertare quali fossero le modalità corrette per dare esecuzione all’ordine di reintegra, si dichiarò incompetente.
Sembra ovvio che una presa di posizione autorevole come quella del Presidente della Repubblica qualche influenza avrebbe potuto determinarla sull’orientamento di un magistrato che già non aveva avuto un atteggiamento favorevole alle istanze della Fiat.
Nei giorni scorsi, dopo lo strappo di Mirafiori, il commento di Giorgio Napolitano ha assunto un significato, che, in quel momento e in quel contesto, raccoglieva inevitabilmente istanze della Cgil e della stessa Fiom.
E’ senz’altro positivo invitare le parti a stabilire un clima di collaborazione tra di loro.
Ma è stata la Fiom – a Pomigliano e a Mirafiori – ad autoescludersi da qualunque progetto di partecipazione e di tregua e a teorizzare un sistema di rapporti sociali conflittuale ed ostile.
E la Fiom non cambia il suo atteggiamento, neppure quando è la Cgil a richiederlo.
Quanto respiro riceve la posizione della Fiom da una presa di posizione tanto autorevole sul tema della rappresentanza e della rappresentatività del sindacato?
Ma davvero in Italia esiste un problema di relazioni industriali che non funzionano?
Non c’è mai stata tanta pace sociale come adesso.
I contratti si rinnovano, a decine, in un clima unitario e di collaborazione reciproca.
Poi vi è una anomalia nei metalmeccanici, dove un gruppo dirigente di sfasciacarrozze porta alle estreme conseguenze la lotta di stampo politico che la Cgil ha dichiarato al Governo di centro destra (è davvero conflitto sociale questo?).
Per risolvere un problema di abuso del potere che l’ordinamento riconosce al sindacato, per svolgere il suo fondamentale ruolo, il Parlamento dovrebbe imporre per legge un sistema di rappresentanza che rafforzerebbe ancora di più quelle anomalie che stanno affossando il movimento sindacale, strumentalizzando i lavoratori e tradendo i loro interessi?
Negli ultimi mesi, il Lingotto è stato accusato dalla Fiom, dalla Cgil e dal circo Barnum del regime culturale sinistrorso delle peggiori nefandezze in tema di violazione dei diritti dei lavoratori.
Ricevere dei richiami solenni ed autorevoli, ancorché garbati nella forma, non aiuta certo a smentire delle accuse ingiustificate e assurde ad una delle poche imprese multinazionali che sono disposte ad investire in Italia e in Campania.
Tutti dovremmo riflettere su quali diritti siano compatibili con la globalizzazione.
Il rischio che corre il paese è quello di compiacersi del proprio sistema di diritti perfetti, ma di assistere alla fuga delle fabbriche.
Ci siamo limitati a parlare solo di lavoro, tralasciando ogni considerazione sull’incontro con gli studenti in lotta, nel Palazzo del Quirinale.
Ma anche sui temi dei giovani, della ricerca e della Università ci sarebbero delle considerazioni da sviluppare, con serietà e rigore, perché vengono poste, non solo con autorevolezza, ma anche con serietà e rigore, nelle esternazioni del Presidente.
Intanto, ci permettiano solo di osservare che le modifiche suggerite dal Quirinale sulla legge Gelmini saranno giustamente accolte dal Governo.
Ma non si tratta di modifiche tanto importanti da giustificare – come i contestatori lasciano intendere – il putiferio scatenato contro la riforma.
In democrazia, il diritto di manifestare è sacrosanto; ma non sempre chi manifesta ha anche ragione.

Fonte: Avanti del 14 gennaio 2011

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