• venerdì , 22 Novembre 2024

Cara Merkel, pensi di più alla Ue

Leader – Führer – è una parola intraducibile nel lessico politico tedesco, ma questa omissione semantica sta diventando un alibi. Non ammettendo il proprio ruolo – se non di guida – quantomeno di pivot europeo, il governo di Berlino si sottrae a una responsabilità di chiarezza. Non c’è decisione europea negli ultimi due anni – dopo la gestione della crisi georgiana da parte di Sarkozy – che non abbia assecondato senso e tempi voluti dal governo tedesco, dall’elettorato o perfino dalla corte costituzionale di Karlsruhe. La tempra democratica del paese, la qualità delle sue istituzioni e la stretta osservanza dello stato di diritto hanno fatto sì che le decisioni siano state prese correttamente, seppur con ritardo, e che la retorica pubblica della cooperazione europea sia stata preservata. Ma le vicende degli ultimi giorni dimostrano che siamo arrivati al limite nel gioco a carte coperte di una leadership di fatto.
Le decisioni di lunedì scorso sulla riforma della governance economica europea hanno reso ambiguo il rapporto tra Berlino e l’Europa. Molti, anche in Germania, hanno enfatizzato l’attenuazione del rigore fiscale chiesto inizialmente dalla cancelliera Merkel: sanzioni non del tutto automatiche né immediate verranno applicate secondo un processo che resta politico. Ma a ben vedere le cose non stanno esattamente così. Attualmente solo Lussemburgo e forse Finlandia hanno un disavanzo pubblico inferiore al 3% del Pil. Nel 2009 l’Irlanda aveva un deficit del 14,3% del Pil, la Grecia del 13,6%, la Spagna dell’11,2% e la Francia del 7,5 per cento. Il livello medio del disavanzo nell’area euro quest’anno sarà attorno al 6 per cento. Nel corso dei prossimi tre anni sarebbe stato obiettivamente impossibile applicare sanzioni efficaci all’80-90% dei paesi. La Merkel dunque ha fatto bene a non combattere per uno scalpo privo di capelli.
La cancelliera ha ottenuto però qualcosa di molto più importante: un accordo per sostituire entro tre anni l’European financial stability facility (Efsf), l’istituto che può emettere bond garantiti dai paesi dell’area euro fino a 440 miliardi di euro per aiutare i paesi in difficoltà e che i tedeschi hanno vissuto come proprio sangue versato per la Grecia. Secondo l’accordo tra Merkel e Sarkozy ci sarà un nuovo istituto, probabilmente un Fondo monetario europeo, che nell’aiutare uno stato imporrà «il coinvolgimento dei privati». Questa espressione poco chiara significa che in futuro un paese come la Grecia dovrà ristrutturare il proprio debito quando verrà salvato. In tale occasione i creditori privati saranno “coinvolti”, cioè subiranno perdite sui loro titoli di credito. Rendere esplicito il rischio di perdite per chi presterà soldi alla Grecia o all’Irlanda o al Portogallo significa riattivare lo scrutinio dei mercati finanziari che l’euro aveva un po’ annebbiato. Non saranno necessarie decisioni faticose tra ministri delle finanze reticenti a sanzionare i paesi poco virtuosi, perché ci penseranno i mercati a chiedere premi al rischio sui loro titoli un po’ come facevano prima che l’euro esistesse. Ora il rischio non sarà più la svalutazione della moneta nazionale, bensì quella dei crediti.
Da un punto di vista finanziario il meccanismo funziona, tant’è che anche la Bce introdurrà dal gennaio dei differenziali sui titoli collaterali dei diversi paesi nel contesto delle operazioni di finanziamento del sistema. Ma da un punto di vista economico e politico invece non funzionerà affatto. Riattivare il rischio sui mercati finanziari, dopo l’incredibile vicenda greca, significa riaprire i differenziali d’interesse nell’area euro oltre ciò che sarebbe normale. Per dare un’idea, a seconda dei titoli, i differenziali applicati dalla Bce potrebbero superare il 10 per cento. Il risultato è che proprio il paese economicamente più forte godrà anche di tassi d’interesse nominali – e reali – più bassi degli altri, avrà quindi un costante vantaggio grazie al maggiore stimolo monetario che si aggiunge a un tasso di cambio reale anch’esso più vantaggioso per la Germania che per gli altri paesi. L’asimmetria che già divide l’area dell’euro tra paesi deboli e paesi forti si aggraverà inevitabilmente.
Anche da un punto di vista politico la soluzione non è sostenibile. Il modo in cui l’accordo Sarkozy-Merkel è stato annunciato, dettandolo da Deauville proprio mentre i ministri dei 27 paesi cercavano la loro soluzione a Lussemburgo, dice molto della strada che sarà percorsa dalla leadership di fatto. Merkel aveva sempre respinto soluzioni che riguardassero la sola area dell’euro – un vecchio obiettivo di Sarkozy – e non tutti i 27 paesi. Ma avendo scelto la strada della “disciplina dei mercati” per l’area dell’euro non è più necessario né il faticoso coinvolgimento degli organi comunitari – commissione in primis – né temere che la Germania possa essere in minoranza tra i 17 paesi della moneta unica. Ottenuto l’accordo di Parigi, a Berlino infatti basta promuovere una semplice cooperazione rafforzata tra i paesi euro a favore del nuovo Fondo monetario europeo, senza bisogno nemmeno di cambiare i trattati. Nessun paese dell’euro potrebbe escludersi volontariamente dal meccanismo perché finirebbe privo anche di quell’unica rete di sicurezza. Un cambiamento dei trattati sarà invece necessario per togliere ai paesi che violano ripetutamente le regole fiscali il loro diritto di voto nelle decisioni comunitarie. Una misura prossima alla lapidazione delle adultere.
Attraverso la nuova architettura dell’area euro, Merkel si assicura invece il consenso dei cittadini tedeschi indignati dall’aiuto finanziario prestato alla Grecia. Inoltre il “coinvolgimento dei privati” diventa una punizione delle banche che avevano investito all’estero e che sono un altro bersaglio molto popolare delle critiche dell’opinione pubblica tedesca. La logica di politica interna della signora Merkel è quindi perfetta. Quella europea invece non è nemmeno logica: aumenta i divari tra i paesi, ne riduce la stabilità e crea un disincentivo all’integrazione economica. Non c’è dubbio che la cancelliera si comporti di fatto da leader europeo, ed è bene che lo faccia anche in considerazione del livello degli altri leader, ma allora deve assumersene anche la responsabilità politica e tenere in considerazione il bene dell’Europa e non solo quello dei suoi elettori.

Fonte: Il Sole 24 Ore del 23 ottobre 2010

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