Ciascuno di noi – Governo, imprese, lavoratori – ha fatto il possibile. Ma non basta. Non si può chiedere l’impossibile, ma si deve pretendere di più. La crescita della ricchezza nazionale dipende da molti fattori, diversi dei quali non sono sotto il nostro controllo e non riguardano solo i mercati esteri.
Quel che è certo, invece, è che la non crescita ha due determinanti: il rifiuto dei cambiamenti e la fuga dalle responsabilità. Ciascuno ha la sua parte di colpa e la possibilità di rimediare.
Nella sua interessante e istruttiva relazione all’assemblea di Confindustria, Emma Marcegaglia, ha rimproverato ai governanti dieci anni persi. Forse sono anche di più, ma non è questa la sede adatta a una così larga e impegnativa analisi. Se prendiamo gli anni della crisi, quelli dai quali stiamo faticosamente uscendo, non saprei dire quanto tempo si è perso ma sarà bene ricordare quel che si è fatto a favore del sistema produttivo: oltre 35 miliardi di euro per gli ammortizzatori sociali; 17,8 miliardi per le grandi opere; 2 miliardi per le imprese in difficoltà e altri 8 per il sostegno al credito per le piccole e medie; 4 miliardi per la detassazione degli straordinari e incrementi alla produttività, che si aggiungono ad altri 4 per incentivi alla produzione. E si potrebbe continuare, aggiungendo anche i provvedimenti di semplificazione amministrativa (tanto chiesta e tanto poco assecondata). Nessun lavoratore e nessuna azienda sono rimasti soli. L’elenco, largamente incompleto, non serve a polemizzare, ma a ragionare. Si può dettagliarlo in modo accurato, ma resta il giudizio di fondo: non basta.
Sgomberiamo subito il terreno da un equivoco: non è (solo) una questione di soldi. In certe condizioni e in momenti di particolare emergenza, la spesa pubblica può stimolare la domanda. Quando però – come nel caso italiano – ha raggiunto livelli eccessivi un suo ulteriore aumento finisce per ostacolare la crescita e acuire l’incertezza, alimentando il dubbio della sostenibilità finanziaria. Appunto, non è (solo) un problema di soldi. Penso ad esempio alle parole che Emma Marcegaglia ha dedicato alle procedure per l’aggiudicazione di opere pubbliche. È vero: sono lunghe, farraginose, estenuanti e per giunta sempre interrompibili con ricorsi e obiezioni amministrative. Tagliare questo nodo non solo non costa, ma fa risparmiare e libera risorse. Posto che non si può certo impedire a interessi confliggenti di rivolgersi alla giustizia, e ricordato anche che il contrasto tra interessi diversi è l’essenza stessa del mercato, a me sembra che i problemi siano essenzialmente due: da un lato norme prolisse e non sempre lineari; dall’altro una giustizia lenta e inefficace. Se però il decisore politico interviene modificando la normativa, questi viene immediatamente aggredito dai tutori delle garanzie (certamente giuste, salvo che alla fine garantiscono l’immobilismo) così come da quanti, nel mondo imprenditoriale, hanno accasato le loro rendite nei codicilli. Se poi il policy maker si adopera per correggere gli squilibri del sistema giudiziario e pensa d’imporre il rispetto dei tempi e della produttività, allora viene lasciato in pasto alle toghe più ciarliere, pronte ad accusarlo di volere sovvertire la legalità.
Sono solo degli esempi, senza alcuna pretesa di esaurire il tema e sapendo di poterne fare molti altri. So bene che il dovere e la responsabilità di cambiare le leggi spetta al legislatore, a chi è stato eletto. Ma una società evoluta è anche complessa e pensare che il legislatore viva in una specie di torre protetta nella quale prevale solo la sua volontà non è ingenuo: è sciocco. Proviamo quindi a deporre le armi della propaganda, che hanno saturato l’aria. L’Italia si è lasciata alle proprie spalle momenti difficili, i cui effetti riverberano nel presente. Li abbiamo affrontati bene e con successo. Ma non basta. Il Paese ha davanti a sé sfide importanti e appuntamenti decisivi. Affrontiamoli con la consapevolezza dei doveri che abbiamo. La crescita non potrà che essere il prodotto di uno sforzo comune. Gli imprenditori non possono dimenticare i conti delle loro aziende. I politici non possono dimenticare gli elettori. Noi tutti, però, cerchiamo di non dimenticarci del futuro da cui dipende il benessere delle nuove generazioni.
Cara Emma, un impegno per tutti
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