La Caf si è pronunciata sullo scandalo del calcio, comminando radiazioni e retrocessioni e suscitando il previsto vespaio di polemiche, a distanza di pochi giorni dai festeggiamenti entusiastici per l’inattesa (e forse non auspicata) vittoria nei Campionati del mondo. Non sarebbe corretto fare paragoni tra la giustizia sportiva e quella ordinaria. La prima è una procedura di natura privatistica rivolta a tutelare le finalità, gli obiettivi dell’ordinamento di cui è espressione, piuttosto che i singoli appartenenti ad esso. E’ bene, allora, che non si immischi la politica, nel calcio come in altre attività consimili. Nessuno avrebbe alcunché da obiettare, infatti, se gli organi della giustizia interna di un partito politico decretassero l’espulsione di un militante, in ragione dell’espressione di opinioni (si tratterebbe pur sempre di un diritto fondamentale della persona) non conformi alla linea generale decisa dagli organi dirigenti. Si pensi che ai dipendenti dei partiti, in quanto , non si applica neppure la tutela prevista dall’art.18 dello Statuto in materia di licenziamento individuale. Allo stesso modo – gli esempi potrebbero moltiplicarsi – nessuno metterebbe il naso in un provvedimento di sospensione a divinis decretato dalle Autorità ecclesiastiche nei confronti di un sacerdote considerato non ligio verso i canoni della dottrina ufficiale. Nelle moderne teorie è superata la concezione dell’esclusività del diritto statuale, in armonia con il quale, invece, possono coesistere ordinamenti privati autonomi e tendenzialmente autosufficienti. In quanto strumenti di giustizia privata, compito principale dei tribunali sportivi è quello di tutelare l’interesse generale e superiore dell’organizzazione, ripristinando l’ordine sconvolto in seguito agli illeciti. E’ insito, dunque, nell’agire degli organi giurisdizionali sportivi, anche un calcolo di opportunità di natura squisitamente politica, in quanto l’intervento e le relative decisioni devono essere indirizzati, istituzionalmente, al rafforzamento del sistema. Se giudicassimo la sentenza che ha chiuso il processo di primo grado da questo, essenziale, angolo di visuale, non potremmo esimerci dal segnalare un fallimento di gigantesche proporzioni. Per tanti motivi. Il calcio italiano mutila da sé la vittoria di Berlino; si autoaffonda dopo essere risalito faticosamente e meritatamente alla ribalta del calcio mondiale. Ciò, nello stesso momento in cui si vagheggia di punti di crescita del Pil assicurati dai successi degli Azzurri. Se devono essere restituiti due scudetti vinti sul campo dalla Juventus, perché non rinunciare anche alla coppa del mondo, a cui si è arrivati, anche nella selezione dei giocatori, come coronamento di campionati viziati dagli intrighi e dalle pressioni di manager truffaldini ? In verità, non si può onestamente non tener conto della qualità di una squadra come la Juventus, i cui giocatori, in Germania, erano praticamente disseminati nelle più importanti Nazionali del mondo, fino a ridurre la Finale di Berlino quasi ad una competizione tra due squadre del medesimo club bianconero. Non ha un senso – lo affermiamo in nome del ruolo stesso della giustizia sportiva – provocare la diaspora di una compagine messa a punto con tanta cura e sacrifici, dopo anni di brucianti sconfitte, quando lo scandalo – pur restando gravissimo – si ridimensiona nelle mani degli stessi giudici. Non si parla più di , dopo che sono stati prosciolti quasi tutti gli arbitri inquisiti. Vi è, però, un altro argomento a proporsi, inconfutato, nel dibattito. Si può parlare di giustizia (sportiva o che altro) quando ad essere puniti più duramente sono quelli che hanno meno responsabilità o non ne hanno alcuna ? Paragoniamo Calciopoli ad un altro grande scandalo: l’affaire Parmalat, assai più grave anche negli effetti, dal momento che sono andati in malora i risparmi di migliaia di persone. In quella vicenda sciagurata, la giustizia ordinaria ha carcerato e processato Calisto Tanzi e i suoi accoliti, ma ha salvato gli stabilimenti produttivi e il lavoro delle maestranze (Parma Calcio inclusa). I giudici dell’Olimpico, invece, hanno decretato sanzioni inoperanti come la radiazione (i colpiti andranno a fare un altro lavoro) nei confronti dei principali colpevoli, ed inflitto pesanti perdite economiche, di prestigio e di immagine alle squadre, che sono pur sempre entità collettive con un loro patrimonio finanziario e di passione sportiva. Se questo è il modo di ribadire solennemente che , sarà bene prender atto che i conti non tornano.
Fonte: Aga del 16 luglio 2006