La riforma Obama, via i simboli della crisi subprime.
Obama prova a riformare il mercato immobiliare Usa le cui distorsioni, alimentate dalle forzature speculative, sono state all’ origine della crisi finanziaria che nel 2008 ha travolto Wall Street e le banche americane. L’ obiettivo è quello di arrivare alla soppressione di Fannie Mae e Freddie Mac, le due finanziarie miste – nazionalizzate dal governo nel 2008 – che hanno emesso o garantito più della metà dei mutui esistenti oggi negli Stati Uniti. E il cui salvataggio è già costato ai contribuenti americani 134 miliardi di dollari. Una cifra enorme (l’ onere maggiore sopportato dalla collettività dopo il crollo di due anni fa) ma da confrontare con un mercato dei mutui-casa che ammonta ormai a 10.400 miliardi di dollari: quasi i tre quarti del reddito nazionale Usa di un anno. Il processo necessario per modificare questa precaria situazione non sarà facile né breve: presentando, ieri, un piano «aperto» che contempla tre diverse soluzioni (tutti, comunque, orientate al «meno Stato»), il ministro del Tesoro, Tim Geithner, ha detto che per completare la riforma serviranno sei o sette anni. Si procederà per gradi: le due finanziarie, che dovrebbero scomparire tra cinque anni, cominceranno fin d’ ora a ridurre le loro garanzie immobiliari, a rendere i prestiti più onerosi e ad aumentare le commissioni applicate a ogni transazione. L’ obiettivo è quello di chiudere il «gap» delle condizioni praticate dal mercato pubblico dei mutui e da quello privato: l’ anno scorso il 90% dei prestiti immobiliari contratti negli Usa ha gravitato sulle due società pubbliche o su una delle agenzie federali che si occupano della casa. Come la Federal Housing Administration, un istituto che risale al «New Deal» rooseveltiano, negli Anni 30 del Novecento. Obama ora vuole fonderle in un’ unica entità e ridurre gradualmente il ruolo dello Stato che ha reso massiccio il suo intervento in questo settore 30 mesi fa per cercare di sostenere valori immobiliari che erano crollati e impedire il fallimento delle banche sotto il peso di una montagna di obbligazioni immobiliari «tossiche». Il piano presentato da Geithner sotto forma di «libro bianco» è stato accolto con un certo favore dai repubblicani che sembrano aver apprezzato l’ obiettivo di ridurre fortemente il perimetro dell’ intervento dello Stato. Come detto, non sarà facile, perché la debolezza del mercato immobiliare è all’ origine del calo della ricchezza patrimoniale degli americani che frena la ripresa e mantiene il settore finanziario in una condizione di fragilità. Ma il Tesoro, dopo aver raddoppiato dal 2008 ad oggi il debito pubblico per sostenere l’ economia, ha la necessità di cambiare rotta. Il piano punta a una totale riprivatizzazione dei finanziamenti per la casa, con l’ agenzia federale che manterrebbe solo un ruolo limitato di sostegno alle famiglie povere e ad alcuni gruppi, come i veterani di guerra, ai quali si vogliono garantire particolari benefici. L’ «ipotesi B» prevede ancora la possibilità di interventi straordinari dello Stato in casi di gravi malfunzionamenti del mercato o di «gelate» del credito. In questi casi il governo potrebbe tornare a garantire i prestiti. La terza opzione prevede un ruolo più ampio del governo federale, ma chiarisce anche che in questo caso l’ onere per i contribuenti americani sarebbe molto elevato: si dovrebbe, infatti, continuare a investire un volume enorme di risorse pubbliche nell’ assicurazione delle obbligazioni basate su mutui-casa. Il piano dell’ Amministrazione non fa una scelta precisa ma è evidente che, se la situazione economica continuerà ad andare verso la normalizzazione, si cercherà di procedere sulla prima strada. Prevalentemente con misure amministrative, visto che la correzione di rotta proposta da Geithner non sembra richiedere rilevanti interventi legislativi da parte del Congresso.
Cala il sipario su Fannie e Freddie
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