• lunedì , 16 Settembre 2024

Breviario per licenziare gli statali fannulloni

Il dibattito sul pubblico impiego ha due dimensioni: a) quanto stanziare per i rinnovi contrattuali, specialmente per il prossimo esercizio finanziario (se un miliardo di euro, come ritiene di poter fare il Governo, o 2,5 miliari di euro, come richiedono i sindacati) e b) e se liberarsi di sacche di inefficienza “licenziando i fannulloni”: Questa seconda dimensione è stata aperta da un inchiesta di un giuslavorista un tempo parlamentare del Pci e direttore della Camera del Lavoro di Milano. Per tracciare una soluzione, occorre fare ricorso a due strumentazioni differenti: a) ciò che trapela sulla manovra di finanza pubblica per il 2007; b) l’esperienza acquisita avendo servito lo Stato da direttore generale in due dicasteri differenti ed essendone stato collaboratore di altri tre. Nelle discussioni di questi giorni i due temi si accavallano e si confondono: sono, invece, distinti e distanti. Il primo riguarda gli equilibri della finanza pubblica, il secondo prassi socio-culturali radicate in comportamenti della dirigenza pubblica.
Sul primo punto, le ultime informazioni sulla finanziaria in cottura inducono a pensare che non sarà poi così difficile trovare un’intesa (forse a metà strada: uno stanziamento sui 1,5-1,8 miliardi) poiché grazie alle riforme dell’ultimo lustro, da un lato, i dati sul gettito tributario sono migliori delle aspettative e, dall’altro, la finanza di progetto per le opere pubbliche (con capitali privati) sta superando la fase di avvio.
Più complesso il secondo problema. Innanzitutto, la mia esperienza mi insegna che le sacche di inefficienza della pubblica amministrazione Pa non sono molto più diffuse e molto più profonde di quelle che si riscontrano in tutte le grandi organizzazioni (sia italiane sia straniere). Una parte verrà curata con la disciplina imposta della nuove tecnologie. Un’altra, dal nesso tra retribuzione e risultati (se i dirigenti lo applicano come previsto): uno studio freschissimo della Università di Tilburg e dell’Istituto Federale Tedesco di Ricerca sul lavoro (Iza discussion paper n. 2211) stima che il nesso tra retribuzioni e risultati porta , in imprese private, un aumento della produttività del 9%. Non si vede perché nella Pa non si debba mirare ad un aumento almeno pari alla metà di quello rilevato nel privato (ossia del 4,5%).

Occorre effettuare licenziamenti per raggiungere questo obiettivo e, a tal fine, modificare la normativa? Di fronte ad assenteisti e nulla facenti è necessaria anche l’arma della risoluzione del rapporto. La normativa attuale lo rende possibile: basta applicarla. La ho utilizzata due volte (nel 1982 e nel 1991) in due dicasteri differenti. La seconda volta il licenziamento venne accompagnato da denuncia penale nei confronti di medico di base compiacente. Avevo ovviamente carte in regola (ossia prove documentali di assenteismo e rendimento quasi nullo) ed ho dovuto far fronte a difficoltà in quanto nell’ambiente sociologico in cui operavo (soprattutto le direzioni del personale), trovavano che “andassi a cercare grane”.

Il punto è proprio punto, specialmente dopo le riforme degli Anni 90 che hanno posto la responsabilità della gestione del personale in capo ai dirigenti di seconda fascia. Molti sono “giapponesi”: ritengono che l’impiego debba essere comunque a vita. Molti sono stati promossi alla dirigenza alla vigilia quasi del pensionamento ( in virtù di una legge dal numero esoterico “303”). Vige le tendenza ad evitare “grane”, pur doverose: prima di un licenziamento occorre un’analisi ed una documentazione approfondita. Parte di questi nodi verranno rimossi dall’immissione di una dirigenza più giovane (e formata a “cercare grane e risolverle”): dopo sette anni, sta partendo un corso concorso per dirigenti Pa aperto a tutti (non solo a chi è già dipendente pubblico). E nei contenuti si esaminerà anche il breviario per mandare a casa i fannulloni.

Fonte: Il Tempodel 4 settembre 2006

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