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Borse, il terremoto Alan ha colpito ancora

C’è qualcosa di beffardo nel fatto che sia stato Alan Greenspan a vestire i panni di Cassandra e a scatenare – con la sua previsione di una recessione americana entro la fine dell’anno – la caduta delle Borse mondiali. Proprio Greenspan è alla fonte dell’instabilità che a ondate prende nuove forme e scuote i mercati finanziari. L’eccesso di liquidità immesso dal governatore della Federal Reserve a cavallo del Duemila nell’economia americana ha creato prima la bolla della new economy, poi quella delle obbligazioni, poi quella dell’immobiliare e ora una nuova supervalutazione meno convenzionale e più difficile da classificare, ma non meno pericolosa: la ricerca di rendimenti elevati attraverso investimenti molto rischiosi con «margini» sempre più stretti e mercati dei titoli con volatilità non correlata ai rischi, spesso attraverso operatori «privati» poco trasparenti e per mezzo di derivati il cui valore nozionale è stimato da Morgan Stanley in 440 mila miliardi di dollari (sia quotati, sia «over the counter”) cioè nove volte il reddito aggregato dell’economia mondiale.

In perfetto stile con la globalizzazione, Greenspan partecipava via satellite a una conferenza a Hong Kong da cui è uscito il messaggio pessimista sull’economia americana. Nonostante l’ultimo rapporto della Fed preannunci un «atterraggio morbido», il rischio di un arretramento della crescita è ritenuto concreto dall’ex governatore. Alla fine della conferenza i titoli del Tesoro americano scoppiavano di salute (anticipando tassi d’interesse bassi) e la Borsa ha cominciato a scendere. Quando dagli Stati Uniti sono giunti segnali di conferma del rallentamento, con la caduta degli ordini di beni durevoli del 7,8% e con i pessimi dati sui mutui ipotecari, Shanghai ha rotto la diga e registrato una perdita del 9%, la più alta da dieci anni.

Le sorti finanziarie e industriali dell’Asia meridionale e degli Stati Uniti sono legate e l’enorme squilibrio di bilancia dei pagamenti americano (anch’esso frutto dello stimolo artificiale di Greenspan) è solo l’altro nome dell’eccesso di risparmio dei cinesi.

Se questo fosse «il canarino nella miniera», il primo segnale di un aggiustamento strutturale dell’economia globale, allora dovremmo prepararci al terremoto «Alan» e sarebbe di dimensioni inaudite. Tali da spostare le faglie dei continenti, rompendo i ponti commerciali e finanziari. Interrompendo di fatto la più lunga e forte fase di benessere dell’economia globale di questa generazione, con conseguenze imprevedibili anche sugli equilibri politici. Ma la scommessa di assorbire gli squilibri attraverso la crescita dell’economia non è ancora perduta. Ben Bernanke, il sobrio successore di Greenspan, ritiene che le prospettiva di crescita in America non siano deteriorate e che si avrà solo un rallentamento, coerente con la necessità di ridurre la domanda interna e il deficit esterno.

L’aumento di produttività nel mondo industriale d’altronde è reale, non è un fenomeno finanziario. E’ stato reso possibile tuttavia anche dalle ristrutturazioni finanziate da fondi con leve finanziarie ardite e che valutano il capitale 15 volte i profitti attesi.

Potrà essere mantenuto un livello di redditività del capitale così elevato, o bisognerà che le Borse scendano in fretta? Gli ultimi dati dalle imprese non sono negativi. Lehman Brothers valuta che metà delle imprese americane del S&P 500 abbia registrato profitti a fine 2006 più alti delle attese e solo il 13% abbia deluso. I dati non sono del tutto convincenti, ma nel complesso non si può dire che siano statistiche che preannunciano una recessione, tutt’altro.

Fonte: La Stampa del 28 febbraio 2007

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