• giovedì , 26 Dicembre 2024

Bond, Eurobond. Nein? Oui!

Sino a un certo punto s’è confuso anche François Hollande. Difendeva a spada tratta il progetto degli eurobond, assicurando che sarebbe stata la panacea per la crisi dei debiti sovrani, grazie alla mutualizzazione dei buchi di bilancio, e pure per la crescita, visto che avrebbero garantito la raccolta a basso prezzo dei fondi per le grande opere europee. Non era proprio così. Gli eurobond assolvono alla prima missione, ed è per questo che una maggioranza dell’Ue – meno la Germania e qualche falco nordico – li sogna con convinzione. La seconda funzione spetta ai project bond, obbligazioni collettive per finanziarie investimenti nelle reti. Sono importanti pure queste. Ma sono altra cosa.
Devo averglielo detto al presidente francese e, da un certo momento in poi, non s’è più sbagliato. Del resto era già stato che fosse successo, visto che l’idea degli eurobond è di Jacques Delors, ex presidente della Commissione dal 1985 al 1994, architetto della storia, del mercato unico e dell’unione monetaria. Fu lui a dire che un gruppo di paesi dotati di una sola moneta avrebbe fatto bene a mettere insieme parte del debito, oltre naturalmente a darsi un governo della moneta e dell’economia. Vent’anni fa il continente non era pronto fare. Le conseguenze di una valuta acefala le abbiamo sotto gli occhi.
Nel tempo l’idea ha avuto alti e bassi, sino a tornare d’attualità con la crisi post 2008, grazie fra l’altro al ministro dell’Economia italiano, Giulio Tremonti, che l’ha messa in nero su bianco in un articolo scritto col presidente dell’’Eurogruppo, Jean Claude Juncker. Anche Mario Monti, non ancora premier, scrisse nel maggio 2010 che l’Europa aveva bisogno di «uno strumento globale» perché date le dimensione della crisi erano tali che persino il bund tedesco finiva per «apparire una entità relativamente piccola». L’E-bond gli pareva garanzia di «una più uniforme trasmissione della politica monetaria nella zona euro».
Sospinti dai francesi come dagli italiani, dall’Europarlamento e persino dai britannici, gli eurobond sono diventati una proposta della commissione Ue in novembre. Li hanno chiamati «stability bond» per cercare di indorare la pillola ai tedeschi, contrari al progetto e nemmeno poco. Gli uomini di Barroso hanno immaginato tre modelli a seconda del grado di intervento sui passivi e quello di presa in carico comune dei disavanzi europei. Si va (primo schema) dalla totale sostituzione delle emissioni nazionale, con piene garanzie congiunte, a una formula più complesso (il terzo), secondo cui ogni stato avrebbe due forme di finanziamento per il debito, del quale rimarrebbe integralmente responsabile: una sarebbe l’accesso diretto e tradizionale al mercato; l’altra vedrebbe un’entità Ue raccogliere titoli di debito in modo centrale e poi ripartirli pro quota. In tal modo, senza modificare i trattati, si ridurrebbe l’onere del proprio sbilancio.
Il dibattito ferve. Un punto fisso è che gli eurobond sono la carta della stabilità, «immaginate se negli Usa il debito dei singoli stati fosse indipendente dal governo federale che amministra il dollaro», spiega una fonte bruxellese. Ancora al G8 di Camp David, Usa, Giappone e Canada hanno chiesto agli europei di lavorarci con determinazione. Nessuno, in compenso, dice che gli eurobond siano per domani, anche perché è scontato che servirà una laboriosa riforma dei Trattati Ue. Nessuno, infine, dice che servano per la crisi. Quella bisogna risolverla altrimenti.
La pattuglia pro eurobond sta diventando così numerosa che Angela Merkel è stata costretta dire «mai!». Berlino ha un problema col debito da una novantina d’anni, è contraria per costituzione e vocazione alla creazione di nuovo debito. «Socialismo applicato ai tassi», dicono dal governo i liberali. Con loro i finlandesi, gli olandesi, gli svedesi, gli austriaci. Londra è sull’sull’altra sponda,come Dublino. Mario Monti dice che «diventeranno realtà, in una forma o nell’altra». Con l’aria che tira, spiegano a Bruxelles, si può continuare a dire «no» solo se si ha un’altra pallottola d’argento per uccidere il mostro dell’instabilità di Eurolandia. Cosa, ora come ora, nessuno vede neanche in un orizzonte lontano.

Fonte: La Stampa del 4 giugno 2012

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