• domenica , 22 Dicembre 2024

“Bond e incentivi: una proposta per valorizzare il patrimonio immobiliare”

Caro Direttore,
leggendo l’articolo di Alberto Alesina e Francesco Giavazzi mi sono domandato se parte del problema di come uscire dalla crisi economica non sia attribuibile a un «individualismo professionale» incapace di promuovere un movimento culturale per indurre la politica a cambiare rotta. Sul tema sollevato dai due economisti – la necessità di abbattere il rapporto debito pubblico/Pil giunto al 133% nonostante (forse per) gli aumenti di pressione fiscale e i tassi dell’interesse calmierati – si sono susseguite più proposte; tra esse, gli autori giustamente condannano quella che prevede una tassa straordinaria sui patrimoni privati necessariamente «consistente» che finirebbe con il peggiorare le cose, mentre raccomandano un più esteso uso del patrimonio pubblico.
I ministri dell’Economia e Finanza del passato anche recente sono rimasti piuttosto freddi nei confronti della proposta, ma l’attuale ministro la va considerando seriamente, anche se dubbi rimangono sulla destinazione degli incassi ritenuti possibili a causa del legittimo sospetto che essi vadano a coprire spese correnti. Attualmente il problema della cessione è quindi legato alla soluzione del problema se esiste una parte del patrimonio pubblico avente «valore strategico», tesi giustamente respinta da Alesina e Giavazzi, e se i modi scelti siano quelli che alleviano il peso del debito e riducono i dubbi sulla capacità del Paese di rimborsarlo e, quindi, lo spread richiestoci dal mercato.
Da tempo con i colleghi Michele Fratianni e Antonio Rinaldi ho sostenuto la stessa tesi, ma anche respinto sia lo spezzettamento delle cessioni con la scusa che il patrimonio va prima valorizzato (da qui la richiesta di creare uno o più fondi immobiliari) e che il mercato non è in condizione di acquisire una massa così ingente di immobili e che i vincoli normativi non lo consentirebbero. Per superare queste obiezioni abbiamo proposto un’operazione di allungamento delle scadenze e riduzione degli oneri sul debito garantita dal patrimonio (nella forma di warrant).
Pur avendo accompagnato la proposta con il suggerimento di chiedere a due consulenti esteri e uno interno le condizioni che suggerirebbero per attuare l’operazione con successo, abbiamo suggerito, per una scadenza a sette anni, di riconoscere il tasso dell’inflazione (attualmente all’1,5%) e il 20% di un ipotetico saggio di crescita reale (0,20 per punto di crescita); se si aggiungesse un esonero fiscale sul rendimento, l’operazione andrebbe alla grande. Penso che questa proposta sia ben conosciuta da Alesina e Giavazzi e non averla citata mi ha indotto a pensare a una forma di individualismo professionale.
Questo sospetto è accresciuto leggendo il resoconto della privatizzazione del Nuovo Pignone da loro attribuita al «merito di un’azionista intelligente, ma soprattutto ai lavoratori e ai dirigenti di grande valore». A quell’epoca Giavazzi operava presso il Ministero del Tesoro e sa bene che alla lista dei meriti va aggiunto sia il suo ministro, Piero Barucci, sia me stesso, in qualità di ministro dell’Industria. Nella trattativa per la cessione chiedemmo alla General Electric di spostare in Italia la produzione di turbine, se ben ricordo, da 200 MgW, che intendeva effettuare in Francia, e aumentare l’occupazione, per i calcoli che avevamo fatto, di 300 unità, condizioni che la GE rispettò.
In una (per me) storica seduta in Senato, dove Barucci non poté presenziare perché a Firenze lo effigiavano impiccato per la decisione di cedere il Nuovo Pignone, mi coprirono di insulti e chiesero le mie dimissioni per aver difeso la razionalità della scelta. Chiedo che venga dato a Cesare ciò che è di Cesare, ma soprattutto che in casi come Alitalia e Telecom si riconosca che vi è sempre un modo contrattuale per una soluzione che non sia legata a sospetti di raggiro, ma a patti giuridicamente vincolanti. Quando decidemmo di assegnare la licenza per il secondo telefonino, chiesi e ottenni una consistente garanzia obbligazionaria per il rispetto degli accordi.

Fonte: Corriere della Sera del 6 novembre 2013

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