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Berlusconi e le braccia di Confindustria

Tutto si è svolto in un decimo di secondo, il tempo di alzare un braccio, di guardarsi attorno: è d’istinto che i tremila partecipanti all’assemblea pubblica di Confindustria, fatta eccezione per tre isolati, hanno detto no alla proposta avanzata da Silvio Berlusconi a Emma Marcegaglia di traslocare in Via Veneto a occupare la poltrona di Ministro delle Attività produttive. Più che chiedersi come mai Berlusconi si sia esposto a uno schiaffo così clamoroso da parte di una platea che tante volte aveva fatta sua, a Parma nel 2001, nella mitica Verona del 2006, poche settimane fa a Parma, credo sia interessante chiedersi perché quelle braccia sono rimaste abbassate. E’ perché hanno visto per la prima volta un Berlusconi colpito da un discorso misurato ma non compiacente, a disagio per una manovra che non sente sua, un vecchio attore che si aggrappa ai colpi di teatro? E’ per polemica contro la politica, “unico settore che non conosce né crisi né cassa integrazione”?
Quelle braccia abbassate potrebbero dire una cosa ben più radicale: è finito il periodo, iniziato nel 93, in cui si è guardato alla “società civile” per sopperire alla crisi, di uomini, idee e credibilità, degli storici partiti politici. A costo di produrre conflitti di interessi: quello in capo a Berlusconi gli italiani lo hanno accettato per sedici anni, ma istituzionalizzarli oggi piazzando qualcuno al Governo sarebbe insensato. Non sono gli assetti corporativi che tutelano gli interessi, ma una sintesi politica. Politico e imprenditore sono mestieri diversi.
Non riconoscerlo, dicono quelle braccia abbassate, sarebbe un peccato capitale.

Fonte: Vanity Fair 1 giugno 2010

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