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Berlino da “malato d’Europa” a locomotiva del continente

Nel 1994, cinque anni dopo la caduta del Muro di Berlino, i tedeschi temevano che l’unificazione delle due Germanie fosse fallita. Nel 1997 il termine «Reformstau» (blocco delle riforme) era stato eletto «parola dell’anno». Nel 1999 e nel 2000 il settimanale The Economist definiva la Germania «il malato d’Europa». Nel 2003 l’economia tedesca era tornata in recessione. Fino al 2004 la Germania si dibatteva in una parabola di declino apparentemente inarrestabile e priva di precedenti per la sua lunghezza. Dal 2004 la Germania è emersa dall’inquietudine economica con performance che sullo sfondo dei 15 anni precedenti appaiono come eccezionali. Oggi comunemente si interpreta la rinascita dell’economia tedesca come un nuovo Wirtschaftswunder, un miracolo economico paragonabile a quello del dopoguerra e in grado di tradursi in prestigio politico e assertività diplomatica, tanto da determinare il destino politico e istituzionale del resto d’Europa.
Altri paesi europei negli ultimi sette anni hanno avuto tassi di crescita paragonabili, Svezia e Svizzera, in particolare. La Francia è cresciuta a ritmi maggiori se si tiene conto di un periodo più lungo, ma probabilmente in conseguenza dello stimolo fiscale indotto da un disavanzo di bilancio strutturale regolarmente superiore alla media degli altri paesi dell’Euroarea. Tuttavia l’eccezionalità tedesca sta nell’avere trasformato permanentemente il proprio modello economico in coerenza con la sfida globale e cioè in ragione della propria apertura ai commerci mondiali. Inoltre la trasformazione è avvenuta introducendo maggiori elementi di mercato nell’economia, ma senza aver pregiudicato gravemente i tradizionali obiettivi condivisi della società tedesca – a cominciare dalla piena occupazione e da un certo grado di egualitarismo – che da sempre definiscono la Sozialmarktwirtschaft: l’economia sociale di mercato.
Per difendere il modello sociale di mercato i governi tedeschi che si sono succeduti dall’inizio degli anni Novanta in poi hanno accompagnato il processo di internazionalizzazione dell’economia avviato dalle imprese e dalle maggiori istituzioni finanziarie. La comune analisi politica retrostante è che una popolazione pari all’1,15% di quella mondiale, che produce attualmente più del 5% del Pil globale, può conservare il proprio livello di vita solamente agganciando la propria crescita a quella dei paesi protagonisti del veemente processo di emersione dalla povertà relativa di sei miliardi di individui. Per questa ragione l’intero sistema produttivo tedesco ha dovuto e saputo rafforzare il proprio orientamento all’esportazione in coincidenza con i grandi mutamenti geopolitici che hanno coinvolto direttamente il paese: la riunificazione tedesca; l’unificazione monetaria europea; l’apertura ai commerci dell’Est Europa e infine l’approdo ai mercati di ampie aree del mondo fino alla fase di pieno sviluppo della globalizzazione. L’esperienza tedesca è stata proposta dalla Cancelliera Angela Merkel come modello di riferimento per l’intera Euroarea: «Essere competitivi nel mondo è un’esigenza non per la Germania, ma per tutta l’Euroarea, un gruppo di paesi che copre il 7% della popolazione mondiale, ma produce oltre il 20% del PIL globale». Inevitabilmente diventa importante comprendere se i caratteri del miracolo economico tedesco sono identificabili e replicabili come processo storico di riforma. Le indicazioni sono che il processo di trasformazione dell’economia tedesca nasce prima ancora che come progetto politico, sotto l’impulso di un gruppo di attori industriali e finanziari sottoposti alla pressione della competizione globale. Solo successivamente un’intensa serie di programmi governativi di riforma dell’economia ha accompagnato la trasformazione produttiva consentendo all’intera economia di beneficiare del successo competitivo acquisito. La possibilità di replicare il successo tedesco risiede dunque non esclusivamente in un processo di riforma politico, ma nella duplice e parallela evoluzione della struttura produttiva e del quadro normativo coerenti con un disegno di lungo periodo.

Fonte: Sole 24 Ore del 17 marzo 2012

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